Chi l’avrebbe mai detto? Tutto è partito da un invito diretto, chiaro e conciso: Hai voglia di venire in Burundi il prossimo agosto? E la risposta non si è fatta attendere: Sì!
Da lì un vortice di pensieri che hanno accompagnato i mesi di attesa della partenza: “L’aereo cadrà?”, “Chi sarà questa Emi che viene con noi?”, “Chi saranno questi frati?”, “Prenderemo la malaria?” … Ma, contemporaneamente, anche pensieri più seri: “Sarò all’altezza della situazione?”, “Cosa posso fare o portare in questo contesto?”, “Come reagirò emotivamente di fronte alla sofferenza, alla povertà?”.
Con tutto questo bagaglio di interrogativi e due valigie ciascuno, siamo partiti l’8 agosto per vivere questa esperienza nel Villaggio San Francesco di Kayongozi. Tra scali, controlli, colazioni ad Addis Abeba, nottata a Bujumbura presso la casa dei Saveriani e cinque ore di auto, finalmente mettiamo piede nella “casa” dei frati: fra Giovanni Farimbella (guardiano), fra Giuseppe Branchi e fra Ivan Dalpiaz. Abbiamo fin da subito apprezzato l’accoglienza e la cucina (Filiberi ci ha piacevolmente sorpreso per le sue capacità culinarie).
Dopo una iniziale visita al centro che accoglie bambini orfani, malnutriti, disabili ed anziani che non possono essere accuditi in famiglia, dal giorno seguente abbiamo iniziato il nostro servizio.
Le giornate sono state intense. La sveglia era esigente (intorno alle 5:15) per essere pronti per il primo appuntamento: il caffè preparato dal guardiano, a cui seguiva la preghiera mattutina. Dopo la colazione, alle 7:30 ci aspettava la Messa al Villaggio, animata da canti al ritmo dei tamburi e allietata dalla presenza gioiosa e giocosa dei bambini. Al termine ciascuno iniziava la propria attività.
Chi, come Emi, condivideva il tempo con i più piccoli, stando con loro scopriva dietro la vivacità una richiesta di affetto, di essere presi in braccio, di contatto, rivelante la loro travolgente ricchezza interiore e la loro gioia di vivere nonostante le loro condizioni. Ha così scoperto di essere arricchita, ricevendo molto più in cambio di quanto dava con la sua compagnia e la sua presenza di donna bianca (per i bambini una rarità mai vista…).
Chi, come Cristian, si dedicava alla riabilitazione dei più piccoli e si scontrava con la contraddizione forte tra la sofferenza, la complessità delle situazioni, i pochi mezzi a disposizione ed allo stesso tempo i sorrisi, l’affetto, la gioia di vedere i piccoli passi (in alcuni casi molto concreti) compiuti in pochi giorni.
Chi, infine, come Matteo, si occupava degli adulti, provava a far fronte alle situazioni che incontrava. Non sempre è stato facilmente perseguibile l’intento di aiutare la persona per un rientro autonomo in famiglia, data anche la scarsità di risorse e possibilità anche tecniche. Quello che ha potuto fare è stato soprattutto accompagnare e stare vicino a quelle persone nel tempo della loro accoglienza al Villaggio.
Insomma, le giornate sono state intense, correvano veloci e alla fine si riconsegnava tutto al Signore nella preghiera della sera. A Kayongozi il sole tramontava presto e al termine del Vespro delle 18.30 si era già avvolti dal buio della notte. Dopo la cena vivevamo un tempo di fraternità nella condivisione di quanto vissuto, oppure facendo qualche gioco o vedendo un film prima del riposo della notte!
Da questa avventura in Burundi torniamo con un bagaglio in più: la ricchezza degli incontri, dei sorrisi, dell’affetto ricevuto e donato.