“Nel rapporto con la liturgia si decide il destino della fede e della Chiesa” (Papa Benedetto XVI).                                 

È un’affermazione che fa tremare: se le nostre liturgie ci aiutano a stabilire un rapporto di reale comunicazione con Dio, allora ha senso fidarci di Lui, la fede ci condurrà alla “visione dell’invisibile” e la chiesa continuerà a dire qualcosa di serio al mondo.

È chiamato in causa dunque il nostro personale rapporto con Dio che si realizza nella gioia di una comunità radunata (Ecclesia) per ascoltare la Parola e rispondere alla Parola con la vita.

Un’antica etimologia della parola adorare indica la necessità di porre la propria capacità di ascolto, “ad orem” cioè “vicino alla bocca” di chi parla.

Dio si è rivelato all’umanità nella persona del Figlio: Dio va adorato in Gesù, Parola vivente, “Il più bello tra i figli dell’uomo, sulle sue labbra è diffusa la grazia” (Sl. 44). Tutti siamo chiamati ad ascoltare ciò che Dio comunica a noi nel tempo, se vogliamo dare significati permanenti alla nostra vita. La Liturgia cristiana si fonda sulla Parola di Dio; diventa un servizio pubblico per tutti e va curata con tutti i mezzi.

Lo strumento principale del dialogo liturgico tra noi e Dio è dunque la “Parola rivelata” posta sulle labbra di chi è chiamato, per vocazione battesimale, a servire la comunità, non solo leggendo e proclamando, ma soprattutto vivendo la Parola.

La liturgia racchiude misteri; perciò le parole e i segni usati per celebrare misteri, vanno scelti con grande cura, devono rivelarci l’invisibile, l’indicibile di Dio. La Parola liturgica è rivelazione del Verbum specialmente nella celebrazione eucaristica, dato che, l’insieme dei segni mette in evidenza Colui che nella fede è nascosto e si rivela come nutrimento dell’anima. Il Verbum-Parola è realtà preziosa, indispensabile al celebrare; va cercata, onorata, ornata, celebrata, custodita, amata, proclamata.

La bellezza dunque di una melodia, di un canto, dice, a chi ascolta, le emozioni, le passioni, le gioie, le sofferenze dell’anima; diventa una vera e propria esegesi della Parola; Dio stesso è Logos-Verbum-Parola.

Chi non conosce l’arte del comporre, chi non sa pregare, chi non è ispirato, non scriva, per favore, non scriva note su testi liturgici. L’invito della Scrittura è esplicito:

“Cantate a Dio, cantate inni; cantate inni al nostro re, cantate inni; perché Dio è re di tutta la terra, cantate inni CON ARTE” (Sl. Per raggiungere questo altissimo obiettivo sono necessari insegnanti competenti, innamorati della Parola, è necessaria appunto una scuola.

Prima però voglio ricordare, ancora una volta, come inciso essenziale, l’acuto pensiero di Papa Benedetto XVI, tolto dalla sua autobiografia, rivolto a chi, per ignoranza, vorrebbe canti popolari nati spesso dalla banalità della vita, indegni della lode al Dio altissimo.

Tutto questo ci permette di sottolineare una caratteristica che qualifica e rende preziosa l’arte compositiva di frate Terenzio-Gaetano Zardini a servizio della Liturgia postconciliare.

È impossibile parlare compiutamente di una persona nata cent’anni fa, di nome Gaetano-Terenzio Zardini, di origine veronese (Montecchia di Crosara, 1923), che ci ha lasciato 23 anni fa, che ha composto oltre 2000 brani musicali, che ha insegnato per trent’anni nel conservatorio “Felice Dall’Abaco” di Verona, che è stato un Sacerdote fedele, frate minore semplice, gioviale, innamorato di S. Francesco e dotato di genialità musicale, amato da tutti.

Sarebbe impresa troppo impegnativa descrivere, in questa memoria, l’immensa produzione musicale scritta di suo pugno: impegnativi brani organistici, elaborazioni su canti popolari, partiture di musiche corali, canti da concerto, musiche per piccola orchestra ecc. Qualcuno ha contato oltre 2.000 titoli di sue composizioni musicali.

Oggi lo ricordiamo dopo 23 anni dalla sua scomparsa e possiamo dire che le sue composizioni liturgiche restano ancora oggi esemplari risposte alle esigenze della liturgia postconciliare. (contemporaneamente denunciano un grave vuoto educativo).

Il primo doc. del Concilio V. II° (SC) è particolarmente attento alla “partecipazione fattiva” del popolo di Dio, “actuosapartecipatio” è detto.

Le assemblee vanno educate a capireper fare. Oggi sono rarissimi i competenti che educano le assemblee al bel canto liturgico e ad un buon celebrare; manca l’arte della parola, manca il respiro del testo, la passione della comunicazione.

La caratteristica di p. Zardini cui accennavo è proprio questa: l’amore alla parola.

Amava sia la parola che usiamo comunemente, sia la parola dialettale del popolo, con le sue acute battute, con i suoi geniali proverbi e la grande Parola liturgica che rivela misteri; amava la bella letteratura italiana e la parola dei profeti antichi e moderni, espressa in salmi, cantici, inni, poesie, da cui nasce e si sviluppa la Liturgia e la fede.

P.Terenzio cercava poeti! Aveva capito che la parola usata per celebrare il mistero è poesia carica di simbolismo, è viva di ritmo, è colma di emozioni: interpreta la sofferenza umana, porta speranza e letizia quando nasce dal cuore, spiega la vita e fa intuire segreti ineffabili. Sapeva che in tutte le lingue le parole nascondono scintille musicali della divina bellezza.

In momenti di forte commozione compositiva diceva che “ogni buon testo liturgico contiene in sé melodie singolari, che gli sono proprie, rivelano messaggi di amore e di salvezza.” E aggiungeva: “Per far cantare il popolo bastano poche parole, pulite ed essenziali, supportate da una armonizzazione limpida e non disorientante”.

Le armonie di p. Zardini sono trasparenti e sottolineano la ricchezza di ogni parola, valorizzando sempre gli accenti tonici che danno il ritmo alle frasi; le armonie aiutano a scoprire la sorprendente varietà dei significati nei diversi contesti espressivi.

L’abilità del compositore musicale liturgico è tutta rivolta a questa misteriosa scoperta. Chi compone per la liturgia, oltre all’indispensabile competenza artistica, deve saper contemplare, deve saper adorare, deve saper fidarsi, cioè deve credere. Così i due elementi inscindibili della comunicazione sono: “poesia appassionata”, e “poesia d’amore”; rivelano l’abilità del compositore, e ci parlano del mondo segreto nascosto nella sua anima.

Zardini sapeva benissimo che la musica liturgica deve essere accessibile al popolo di Dio, ma questo requisito indispensabile, per rispetto del popolo stesso, non deve scadere in un linguaggio infantile, non deve lasciare spazio alla banalità, o richiamare sfacciatamente il profano.

Al contrario, come affermava Leon Bloy: “È indispensabile che la Verità (comunicata a noi nel rito) si vesta di gloria: lo splendore dello stile non è un lusso, è una necessità”.

Dobbiamo inoltre capire che non è la vita a dover entrare nella liturgia, (come qualcuno sostiene ancora), ma è la liturgia, con la bellezza dei suoi messaggi e dei suoi segni, che deve entrare nella nostra vita e trasformarla. La liturgia è una scuola.

La parola liturgica cantata ci ricorda il limite di tutto ciò che è terrestre e innalza il nostro Spirito alla dimensione celeste verso la quale siamo tutti incamminati. E lì, radunati davanti al trono, tutti adoravano Dio e gridavano a gran voce: “La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello”, tutti dicono: “Amen! Lode, gloria, onore, potenza, forza al nostro Dio nei secoli dei secoli.”

Questi i segni da mostrare e le voci da far sentire, da proclamare, nelle nostre liturgie.

I canti liturgici di p. Terenzio, se capiti e ben interpretati, ci parlano della sua segreta sensibilità di credente, resa viva dall’arte del comporre. Dovrebbero essere l’obiettivo principale di un compositore liturgico; è raggiunto quando la sua competenza e la sua passione lo portano a creare melodie e armonie che restano nel tempo a servizio di molti: quindi non melodie e armonie astruse o povere, come troppe sono le melodie che si eseguono nelle nostre liturgie, ma melodie e armonie capaci di suscitare ad ogni esecuzione: riflessione, pensiero, gioia, lode al Dio che salva; devono innalzare chi canta e chi ascolta, al divino, devono cioè diventare preghiera viva.

Tutto questo si ottiene quando si ama la Parola e si affinano con perseveranza i mezzi che ci sono dati per intuire il mistero altissimo.

Siamo tutti lontani da questa visione… ma non dobbiamo restarne, per inerzia, lontanissimi…

A questo ci invita p. Terenzio e, certamente, (lo vedo), ora sta sorridendo.