In occasione della ricorrenza degli 800 anni delle Stimmate di san Francesco d’Assisi, il settore Carità in collaborazione con il Segretariato Missione ed Evangelizzazione, ha accolto l’iniziativa provinciale di organizzare una giornata con e per gli ospiti delle nostre principali Mense della provincia “in cui annunciare che la leggerezza, la spogliazione e la minorità possono essere vie per giungere a conformarsi a Cristo”.

Questa iniziativa si è concretizzata nel convento di san Bernardino a Verona sabato pomeriggio 3 febbraio, dalle 15.00 alle 21.00, prima tappa di un cammino costituito da tre incontri (i prossimi previsti per sabato 2 marzo in Quaresima e sabato 6 aprile nel tempo di Pasqua) curato dai frati, dall’OFS e da alcuni volontari della mensa.

Nel primo incontro, caratterizzato dal tema dell’amore e della leggerezza, evocato dall’abbraccio di Francesco al lebbroso, hanno partecipato una sessantina di persone, tra cui diversi volontari e vari ospiti che usufruiscono giornalmente dei servizi della mensa: dopo un momento di preghiera in cappellina introdotto dall’invocazione allo Spirito e proseguito con la lettura ed il commento del brano evangelico che narra la guarigione del lebbroso operata da Gesù (Mt 8,1-4), i “partecipanti” si sono incamminati con raccoglimento interiore verso la mensa, per ascoltare il passo delle fonti francescane (FF 1407-1408) che narra del primo contatto di Francesco con i lebbrosi.

Successivamente, dopo una breve presentazione dei servizi e dello spirito che sostiene ed anima la mensa, Sergio, uno psichiatra italiano che ha sperimentato l’esclusione ed il rifiuto della società ritrovandosi a vivere in strada e che attualmente presta servizio di volontariato presso la Ronda della Carità, ha offerto ai presenti la sua testimonianza di spoliazione.

Il pomeriggio è poi proseguito con i 6 gruppi di condivisione, presenti anche alcuni ospiti della mensa, in cui ognuno ha potuto condividere sia un’esperienza personale di “abbraccio” ricevuto sia di abbraccio donato.

Mia madre era docente universitaria di filosofia, mio papà insegnava al conservatorio (musica classica: chitarra, violino e pianoforte), ma aveva anche la passione per i camion, tanto che aveva aperto un’azienda di autotrasporti.

Appena specializzato in psichiatria, fui mandando a lavorare in Ancona (mancavano medici specializzati in quel tempo) per 8 anni: mi ero ambientato molto bene, il mio lavoro mi ha permesso di perfezionare le relazioni sia con gli altri colleghi, sia con i pazienti che seguivo, soprattutto con giovani e bambini con molte difficoltà sociali.

A mia madre non detti subito una risposta, perché pensavo sia agli anni di studio sia ai traguardi fino ad allora raggiunti; tuttavia, nello stesso tempo, pensavo anche ai sacrifici che mio padre e mia madre fecero per me e per i miei due fratelli, che in quel tempo avevano famiglia rispettivamente in Germania ed in Inghilterra.

Dopo un periodo meditato e sofferto, decisi di lasciare la mia professione per tornare a Verona e portare avanti l’azienda di mio padre. L’attività lavorativa andò molto bene, fino agli anni 1991/1992, in cui iniziò l’immigrazione di diversi extracomunitari dallo Sri Lanka che ci fecero sleale concorrenza sino al punto che fui costretto a chiudere l’azienda per non rischiare il fallimento.

Restai senza lavoro per ben circa tre anni, aiutato nelle mie necessità da mia madre. Dopo due intimazioni di sfratto, ricevetti infine lo sfratto esecutivo e mi ritrovai senza casa e in mezzo alla strada, senza niente e senza sapere cosa fare, senza nessun punto di riferimento: quelli che sembravano essere miei amici, divennero solo conoscenti.

La prima notte solo paura, incertezza, molto freddo, non sapevo dove potessi bivaccare, ero davvero perso e confuso. Decisi di sedermi nella piazza centrale di Verona perché frequentata da numerose persone che mi facevano sentire un po’ più al sicuro: rimasi tre giorni senza mangiare, senza soldi, senza sapere cosa fare.

Così arrivai alla mensa dove trovai le cure necessarie e tanta accoglienza, gentilezza e volontari davvero dolcissimi: li conobbi sia i frati (che considero miei carissimi amici) sia Laetitia, loro collaboratrice: di entrambi ho molta stima e rispetto. Da allora cominciai a frequentare assiduamente la Ronda, conobbi Alberto, l’attuale Presidente, entrammo subito in empatia e feci amicizia con lui, consegnandogli la mia storia.