Non ci ha pensato due volte, frate Giovanni Farimbella, e, quando la situazione ha cominciato a diventare drammatica, si è trasformato in operatore socio-sanitario. Senza dismettere, naturalmente, le vesti di cappellano dell’Ospedale Civile. Anzi, poiché nei terribili mesi contrassegnati dalla pandemia, il bisogno delle persone di essere ascoltate, di trovare conforto in una parola buona, essere sostenute nel sopportare il peso dell’angoscia e della solitudine, si era fatto più impellente che mai. Il padre francescano si è distinto durante la pandemia proprio per le grandi doti di umanità e per aver supportato spiritualmente medici, infermieri e sanitari che lavoravano in condizioni estreme.
Ma fra Giovanni Farimbella si schermisce: «Ho fatto una cosa normale, quello che era richiesto dal momento storico e non mi sarei mai aspettato un premio per questo». Fatto sta che la «giornata-tipo» di fra Giovanni è stata scandita per mesi da ospedale e obitorio. «Quando è iniziato il periodo più brutto del Covid. anche l’obitorio ha cambiato fisionomia» racconta. «il personale era tutto cambiato, veniva trasferito lì da altri servizi. Un giorno due delle operatrici si sono messe a piangere: erano ferite emotivamente da ciò che stavano vivendo. Ho pensato: fossi almeno un operatore socio-sanitario, verrei qui ad aiutarvi. Così ho chiesto il permesso al primario, che me l’ha accordato. Sentivo che c’era uno stato di bisogno e desideravo di essere al fianco del personale per condividere la strada che stava percorrendo. Il mattino – prosegue il frate – i reparti erano quasi interdetti all’accesso, per ovvie ragioni. Andavo all’obitorio con le necessarie misure di tutela e facevo il lavoro di tutti gli altri: prima di tutto ascoltavo gli operatori, chiedevo come stavano e poi andavo con loro nei reparti a prendere i pazienti deceduti». E non finiva qui. Nel pomeriggio, frate Giovanni si recava nel triage, le famose «tende» per contenere il contagio. «Un giorno – prosegue – mi ha chiamato una signora anziana, chiedendomi se potevo andare a confessare suo marito che aveva più di 80 anni. Sono andato, vestito con la tuta bianca, e ho subito incontralo del personale splendido che mi ha creato uno spazio dove poter confessare con una certa riservatezza. Da allora, ho cominciato ad andarci tutti i pomeriggi, andavo a trovare i pazienti, incontravo i familiari quando era possibile e potevano essere presenti, per volere bene a loro ed anche a quella parte di pazienti non coinvolta nel Covid e che ha pagato un prezzo molto alto perle restrizioni». Il suo premio, frate Giovanni Farimbella, con la sua generosità vuole «dedicarlo a chi mi ha proposto con grande affetto e, nel profondo, all’ospedale dove ho visto tante cose meravigliose».