“Detto questo soffiò su di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo”. Gv. 20,22

Questo brano viene definito la pentecoste giovannea. È interessante notare che la parola di Dio racconta in modi diversi la venuta dello Spirito Santo: come un respiro, come un soffio, come un vento impetuoso… che è come dire che lo Spirito non ha schemi fissi, se non per il fatto che rende nuovi coloro su cui si effonde, come dice il Salmo 104: «Mandi il tuo spirito, sono creati, e rinnovi la faccia della terra». Che lo Spirito rende nuovi ne è la prova che undici uomini paurosi, che si sono serrati in casa dopo la morte di Gesù, una volta ricevuto lo Spirito, non solo hanno il coraggio di uscire di casa, ma addirittura vanno in tutto il mondo a predicare il vangelo, affrontando con forza tutte le prove, le persecuzioni e alla fine anche il martirio, per amore di Cristo.

Il vangelo odierno è lo stesso o, perlomeno, è una parte di quello della domenica dell’ottava di Pasqua. E in effetti la pentecoste in Giovanni non avviene 50 giorni dopo la Pasqua, ma dapprima sulla croce, quando Gesù «consegnò lo Spirito» morendo, e poi qui, nel giorno della risurrezione, quando Gesù apparve per la prima volta ai discepoli chiusi nel cenacolo. La paura, l’angoscia li ha fatti chiudere in casa ben sigillati, ma Gesù riesce a entrare: viene a risollevare, viene a guarire, viene a fare un dono, che rende nuovi, appunto. Gli apostoli lo hanno abbandonato, ma Gesù non li abbandona, e in quel luogo chiuso, in quella situazione asfittica, con lo Spirito entra il respiro ampio e profondo, che ossigena la nostra vita con la vita di Dio.

Gesù viene, sta in mezzo ai suoi apostoli e dona lo shalom, che in ebraico significa pace, sicurezza, completezza, prosperità, vita piena. Ha bisogno, tuttavia, di farsi riconoscere, perché ora il suo corpo è glorioso e non ha più le fattezze di prima, ma in lui sono restate le tracce della sua passione, i segni dei chiodi e la ferita della lancia. È curioso che Giovanni dica che al vedere questi segni di dolore gli apostoli gioirono: in fondo era ancora vivo in loro lo strazio dei giorni della passione e morte di Gesù, ma ora con la risurrezione quelle ferite sono diventate feritoie di luce e speranza. Finalmente così la loro incredulità è vinta e la gioia della sua presenza li invade.

Gesù soffia su di loro il suo respiro, che non è più alito umano, ma spirito divino, lo Spirito Santo. Potremmo dire che con lo Spirito riceviamo il respiro di Gesù, che respirava perdonando i peccati degli uomini che incontrava. E Gesù chiede che, avendo il suo respiro, anche noi siamo capaci di perdono verso tutti. Questo fa lo Spirito, però non lo fa in automatico, ma bisogna invitarlo, chiamarlo, pregarlo, cosa a cui forse non siamo tanto abituati, dal momento che lo Spirito Santo è il grande dimenticato della Chiesa, come dice papa Francesco, tanto che una volta durante un’omelia disse scherzando: «Avrei voglia di domandarvi – ma non lo farò, eh! -: quanti di voi pregate lo Spirito Santo? Non alzate la mano…». Il papa non l’ha domandato, ma ognuno può chiederselo e, se anche si rendesse conto che finora l’ha pregato poco o niente, può cominciare da oggi!

suor Nella Letizia clarissa di Rimini