«E, presi con sé Pietro e i due figli di Zebedeo, cominciò a provare tristezza e angoscia. E disse loro: “La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me”» (Mt 26,37-38).

C’è una parola minuscola, ripetuta continuamente nelle pagine dei vangeli che raccontano i momenti cruciali nella vicenda terrena di Gesù; è una preposizione semplice: ‘con’. Nell’ora della tristezza e dell’angoscia il Maestro prende ‘con’ sé gli amici; vuole sentire la loro presenza: “vegliate ‘con’ me”. Per prenotare la stanza della cena pasquale, aveva mandato a riferire una richiesta precisa al proprietario della casa: “(…) farò la Pasqua da te ‘con’ i miei discepoli”. E d’altronde, come ben sappiamo, tutto il testo di Matteo è avvolto in questa grande inclusione creata dalla preposizione ‘con’.

L’inizio del vangelo è la famosa citazione di Isaia: “Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio: a lui sarà dato il nome di Emmanuele, che significa Dio ‘con’ noi” (Mt 1,23). L’ultimo versetto dell’ultimo capitolo conferma la stessa promessa; il Risorto si congeda con queste parole: “Ed ecco, io sono ‘con’ voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). Una parolina di tre lettere, che passa inosservata, potrebbe essere la chiave di tutto; apre ogni porta e svela ogni segreto; è il senso profondo di qualsiasi istante.

Torno sempre volentieri a contemplare il quadro seicentesco esposto nella chiesetta del Pirani, in via Museo: “Le sette opere di misericordia”. Le varie scene che descrivono i gesti di carità mostrano una vicinanza nei confronti dell’uomo povero che non si riduce al tecnicismo, a un esercizio meccanico della solidarietà. La misericordia che nasce dal cuore del Padre non ci chiede di essere soltanto persone pratiche.

Colui che ha in mano il cesto dei pani da condividere con l’affamato, protende l’orecchio per ascoltare l’altro che vuole raccontare qualcosa di sé; perché “non di solo pane vivrà l’uomo”; tra i due sembra nascere un dialogo e una amicizia. Chi va a visitare l’ammalato appoggia con tenerezza la sua mano sulla fronte di chi è inchiodato nel letto. Gesù indica con il dito colui che ha sete, prostrato a terra in condizioni pietose, quasi ad avvertirci: “Cercate di capire quanto profonda è la sete nel cuore di chi soffre da una vita”. Tutte le scene invitano a non avere fretta, a non scivolare via, a non essere superficiali o distratti, a dedicare all’altro il proprio tempo. Il Dio biblico si rivela attraverso la parola ‘con’; è il monosillabo speciale, che rende più umano il pianeta in cui viviamo.

E Gesù, Figlio di Dio e vero Uomo, nell’ora più tragica della sua esistenza accentua l’utilizzo di questa particella, e chiede insistentemente ai discepoli di rimanere accanto a lui. Nella sua carne contempliamo la prossimità del Padre a ciascuno di noi; perché la solitudine, il dolore, l’angoscia bussano alle porte di ogni essere umano; e in quell’attimo cerchi disperatamente qualcuno che abbia riserve di amore da condividere: un padre, una madre, un fratello, una sposa, un compagno, un’amica che in modo disarmante abbiano il desiderio e la fedeltà di essere lì… “con” te.

Don Andrea Guglielmi parroco