“Gli fu messo nome Gesù come era stato chiamato dall’angelo” (Lc 2,16). Otto giorni dopo il Natale siamo attirati a contemplare questo gesto apparentemente insignificante nella vicenda di Gesù: l’imposizione del nome. Ma nel nome è la chiamata: il nostro nome è la nostra vocazione, la nostra unicità, il nostro compito, la nostra responsabilità nel mondo. Il nome “Gesù” è il nome di Colui che è generato da Spirito santo, è il nome che viene da Dio e non dagli uomini, dall’alto e non dal basso, è il nome che viene dal Cielo. E per questo è l’unico nome in cui c’è salvezza (cf. At 4,12). Questo non è un nome che deve esaudire un desiderio genitoriale, che deve proseguire una storia genealogica, che deve dare continuità a vite di altri, che deve illudere di immortalità chi l’ha generato.

I nostri nomi, invece, cioè le nostre vite, sono braccati e ricattati dal nostro passato, feriti e perseguitati dal nostro passato: è una esperienza comune. Ma nel nome di Gesù, nella sua personalissima vicenda personale, possiamo trovare l’orientamento per vivere il nostro nome nella libertà. Certo, nella libertà possibile, una libertà sempre fragile, una libertà sempre ostacolata e minacciata, da noi stessi e dagli altri. E tuttavia una libertà reale perché i nostri nomi ormai sono innestati nel nome di Gesù, noi siamo  battezzati nel nome di Gesù, nella sua persona. In Cristo il nostro nome non è più memoria di passato ma cammino verso il futuro, non è ripetizione del già visto e subìto, ma novità di vita. È anticipo di resurrezione, di quella vita eterna in cui finalmente riceveremo il nome nuovo che nessuno conosce e nessuno ha conosciuto, ma che solo Dio conosce. Come lui solo conosce il nostro cuore, la nostra unicità, la nostra vocazione, il nostro mistero.

Il testo evangelico fa emergere anche che esperienza originaria di Gesù, come di ogni essere umano, è quella di essere preceduto. Il nome “Gesù” era il nome con cui era stato chiamato dall’angelo “prima di essere concepito nel ventre materno” (Lc 2,21). Preceduto da genitori, preceduto dalla storia di un popolo, preceduto da Dio. L’accoglienza amorosa che i genitori faranno del figlio, così come l’accoglienza che gli predisporrà il popolo con le sue istituzioni religiose e i suoi riti, i suoi gesti e le sue parole, sarà essenziale al nuovo venuto per giungere all’accoglienza della propria storia. L’accoglienza è la condizione per pacificarsi con la propria origine e con la storia che ci ha preceduti. L’accoglienza che conosciamo nel nostro venire al mondo e nel nostro vivere è fondamentale perché noi, a nostra volta, possiamo accoglierci nella storia che ci ha segnati. E che, quale che essa sia, risale in ultima istanza a Dio Padre. C’è dunque un prima, per Gesù, che troverà il suo senso nel dopo: che cosa farà di Gesù tutto ciò che lo ha preceduto? Ma soprattutto, cosa farà Gesù di tutto ciò che lo ha preceduto? Del rapporto con la famiglia di origine? Degli usi, delle consuetudini e delle tradizioni religiose del suo popolo? Della chiamata che viene da Dio? Del suo stesso nome? Il dopo della vita di Gesù nasce come domanda in questo prima in cui Gesù è in posizione totalmente passiva.

All’inizio dell’anno nuovo, quando il tempo viene come messaggero di Dio, la prima parola della Bibbia è un augurio, bello come pochi: Voi benedirete i vostri fratelli (Nm 6,22) Voi benedirete… è un ordine, è per tutti. In principio, per prima cosa anche tu benedirai, che lo meritino o no, buoni e meno buoni, prima di ogni altra cosa, come primo atteggiamento tu benedirai i tuoi fratelli, tu benedirai la tua vita, la tua storia. Dio stesso insegna le parole: Ti benedica il Signore, scenda su di te come energia di vita e di nascite. E ti custodisca, sia con te in ogni passo che farai, in ogni strada che prenderai, sia sole e scudo. Faccia risplendere per te il suo volto. Dio ha un volto di luce, perché ha un cuore di luce.

La benedizione di Dio per l’anno che viene non è né salute, né ricchezza, né fortuna, né lunga vita ma, molto semplicemente, la luce. Luce interiore per vedere in profondità, luce ai tuoi passi per intuire la strada, luce per gustare bellezza e incontri, per non avere paura. Vera benedizione di Dio, attorno a me, sono persone dal volto e dal cuore luminosi, che emanano bontà, generosità, bellezza, pace. Il Signore ti faccia grazia: di tutti gli sbagli, di tutti gli abbandoni, di qualche viltà e di molte sciocchezze. Lui non è un dito puntato, ma una mano che rialza. Il Signore rivolga a te il suo volto e ti conceda pace.

Cosa ci riserverà l’anno che viene? Io non lo so, ma di una cosa sono certo: il Signore si volterà verso di me, i suoi occhi mi cercheranno. E se io cadrò e mi farò male, Dio si piegherà ancora di più su di me. Lui sarà il mio confine di cielo, curvo su di me come una madre, perché non gli deve sfuggire un solo sospiro, non deve andare perduta una sola lacrima. Qualunque cosa accada, quest’anno Dio sarà chino su di me.

E ti conceda pace: la pace, miracolo fragile, infranto mille volte, in ogni angolo della terra. Ti conceda Dio quel suo sogno, che sembra dissolversi ad ogni alba, ma di cui Lui stesso non ci concederà di stancarci.