Se uno non mi ama più di quanto ami padre, madre, moglie, figli, fratelli, sorelle e perfino la propria vita, non può… Un elenco puntiglioso di sette oggetti d’amore che compongono la geografia del cuore, la nostra mappa della felicità … sembrano le parole di un esaltato.

Ma davvero questo brano parla di sacrificare qualsiasi legame del cuore? Il punto di comparazione è attorno al verbo «amare», in una formula meravigliosa e creativa «amare di più». Le condizioni che Gesù pone contengono il «morso del “di più”», il loro obiettivo non è una diminuzione ma un potenziamento, il cuore umano non è figlio di sottrazioni ma di addizioni, non è chiesto di sacrificare ma di aggiungere. Come se dicesse: Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto gli affetti ti lavorino per farti uomo realizzato, donna felice, ebbene io posso offrirti qualcosa di ancora più bello e vitale. Gesù si offre come incremento, accrescimento di vita. Una vita intensa, piena, profondamente amata e mai rinnegata.

Con il suo “amare di più” Gesù non intende instaurare una competizione sentimentale o emotiva tra sé e la costellazione degli affetti del discepolo: dietro l’espressione “amare di più” non c’è la logica del disprezzo per ciò che si ama “di meno”, bensì la logica di non voler mai trasformarlo nel proprio dio. A Cristo non fa problema se amiamo un padre, una madre, un figlio, un fratello, ma se questo amore diventa talmente intenso da fermare la vita, da ingabbiarla, da non farla andare più avanti, da condizionarla fino al punto di non riuscire più a capire ciò che vale da ciò che non vale. L’idolatria è denunciata non come il fastidio di Dio che vuole l’esclusiva, ma come la preoccupazione di chi sa che solo Dio può salvarci, e che quando vogliamo farci salvare da altre cose che non sono Dio molto spesso rimaniamo male e con le ossa rotte.

Ogni cosa, anche quelle potenzialmente più buone e più preziose portano con sé un “nemico”, perché sono depositarie di una fragilità che la prima lettura di oggi ci ricorda. La sapienza a cui Cristo ci richiama, paragonandola a colui che progetta di costruire una torre, ci invita ad essere consapevoli che per essere discepoli è necessario discernimento. Che la cura attenta di ciò che per noi ha il primato, è la condizione indispensabile per la nostra vita.

A questo punto diventa necessario “fare i conti”. Senza questo, infatti, si costruirà una torre incompleta, si fallirà perché si ha un cuore appesantito dalle cose che non siamo stati capaci di “ordinare al fine”. Ma ci vuole una grande fiducia. Ciò è possibile se ti fidi di Lui fino al punto di saper posporre anche te stesso, ovvero di accogliere l’invito alla pienezza che Lui ti offre e andargli dietro. Sicuramente però in un cammino del genere non possono più esistere, in prospettiva, le mezze misure. Infatti Cristo cerca discepoli e compagni di strada e non followers.