“ti ringrazio o Dio perché non sono come gli altri uomini”. Lc. 18, 11.
Come già domenica scorsa, il Vangelo di oggi ci conduce nel cuore della preghiera autentica che nasce, non dalla perfezione, ma dall’umiltà.
La parabola ci mostra due modelli di preghiera, due atteggiamenti opposti, che riflettono due modi diversi di vivere la relazione con Dio. La preghiera del fariseo è centrata su di sé, egli prega davanti al proprio io, è sicuro della propria bontà, ha l’intima convinzione di essere giusto e disprezza gli altri.
La preghiera del pubblicano è una supplica breve e sincera, si accusa e invoca perdono, sentendosi lontano da Dio e non potendo confidare in sé.
Dio ascolta chi è umile, chi soffre, chi lo invoca con sincerità, chi si affida a Dio senza pretese.
Senza umiltà la preghiera è espressione dell’io, non di Dio, è autoesaltazione, non fiducia in Dio.
Il fariseo elenca le sue opere con orgoglio e disprezza il pubblicano che non osa alzare lo sguardo. Eppure è quest’ultimo che torna giustificato, perché si lascia guardare da Dio con verità, senza maschere.
Dio non cerca perfetti, ma veri.
La salvezza non si conquista, ma si accoglie e l’umiltà è la porta per riceverla. L’umiltà è l’atteggiamento che ci apre all’incontro autentico con Dio.
Per questo all’inizio dell’Eucarestia viviamo l’atto penitenziale: un rito breve, ma essenziale che ci educa a presentarci davanti a Dio senza maschere e senza vergogna, consapevoli che siamo peccatori perdonati e che Dio è Padre misericordioso.
Anche nelle nostre relazioni, in famiglia, in comunità, con gli amici abbiamo bisogno di autenticità: possiamo essere imperfetti, ma veri.
Sorelle Clarisse Monastero Porto Viro