L’eccessiva ricerca di perfezione non porta alla felicità, perché ci impedisce di accogliere pienamente noi stessi e gli altri, indurisce i nostri cuori e ci priva dell’opportunità di aprirci a ciò che è più grande di noi, a ciò che ci attira, che ci trasforma, che ci dona pienezza.

Il Signore ci chiama non per nostri meriti, ma perché ci ama; non ci chiede di essere uomini straordinari ma di essere straordinariamente uomini, fragili ma consapevoli di essere amati. Il Signore entra e si siede a tavola con noi: in quella tavola ci fa suoi familiari e condivide la sua vita con noi chiedendoci di vivere altrettanto con i nostri fratelli.

Se infatti guardiamo agli altri con la fretta di giudicarli, stiamo giudicando anche noi stessi, non confidando pienamente in quell’amore che genera vita.