“… emise un sospiro e gli disse: Effatà, cioè: Apriti!”. Mc 7,34.

Il racconto della guari­gione del sordomuto non è il semplice reso­conto di un miracolo, ben­sì un segno che contiene quello che il Signore Gesù vorrebbe operare in ogni suo discepolo, che ha un nodo in cuore, un nodo in gola; quello che vorrebbe realizzare con questa mia u­manità infantile e immatu­ra che non sa ascoltare e non sa dialogare.

Che io sia uomo di ascolto, innanzitutto: «sordo» infat­ti ha la stessa radice di «as­surdo». Entra nell’assurdo chi non sa ascoltare Dio e gli altri, e lascia andare a vuoto tutte le parole. Esce dall’assurdo chi impara ad ascoltare.

«E gli condussero un sordo­muto». Un uomo prigionie­ro del silenzio, una vita chiusa, accartocciata su se stessa come la sua lingua, un non-uomo.

Gesù lo porta in disparte, per un dialogo fatto esclu­sivamente di sguardi: Io e te soli, dice Gesù all’uomo che non è ancora uomo. E sei così importante che ora le mie dita ti lavorano di nuo­vo, come un Creatore che plasmi da capo l’argilla di Adamo.

E seguono gesti molto corporei e delicati: Gesù pose le dita sugli o­recchi del sordo. Non il braccio o la mano, ma le dita, come l’artista che modella delicatamente il volto che ha plasmato. Come una carezza. Poi con la saliva toccò la sua lin­gua. Gesto intimo, coinvolgente: ti do qualcosa di mio, qualcosa che sta nella bocca dell’uomo, insieme al respiro e alla parola, simboli del­lo Spirito. Gesù, all’opera con il corpo del­l’uomo, mostra che i nostri corpi sono laboratorio del Regno, luogo santo di incontro con il Signore.

Gesù inizia a comunicare così, senza parole, con il so­lo calore delle mani, con una carezza sugli orecchi, sulla bocca. Con quel volto fra le sue mani guarda in alto e sospira. E l’uomo co­mincia a guarire.  

Il mio volto fra le sue mani! E poi quel sospiro. Geme il Signore il suo dolore per il dolore del mondo, geme per tante vite che non ce la fan­no a sfuggire all’ombra del­l’assurdo, geme e fanno pia­ga in lui tutti i silenzi ostili della terra, tutte le relazioni spezzate…

E infine ecco la parola che salva: «Effatà», «Apriti», ar­rivata così fino a noi, nella lingua di Gesù, viva ancora nel rito del Battesimo.

Apriti, come si apre una porta all’ospite, una finestra al sole. Apriti come si apre uno scrigno prezioso o una prigione del cuore. Apriti come quando cede un argi­ne o una diga o si spalanca la pietra del sepolcro e la vi­ta dilaga. Non vivere chiuso, apriti alla Parola, al gemito e al giubilo del creato.

«E comandò loro di non dir­lo a nessuno». Gesù aiuta senza condizioni. Per lui è più importante la gioia del sordomuto, che non la sua gratitudine; la sua felicità conta di più, e di lui infatti non sapremo più nulla, scomparso nel gorgo della vita ritrovata.

Il Vangelo di Marco riferirà ancora solo due altri mira­coli, la guarigione di due ciechi. Per dire: prima è l’a­scolto poi viene la luce. Solo se hai accolto in te la parola di Dio vedrai bene, capi­rai la verità di ciò che vedi, il senso di ciò che accade.

Ermes Ronchi