OMELIA PER LA FESTA DELL’IMPRESSIONE DELLE SS. STIMMATE DI SAN FRANCESCO

Questa celebrazione si è aperta con un’intensa preghiera: abbiamo detto al Padre che Lui stesso ha segnato la carne di Francesco con i segni della Passione e lo scopo è infiammare il nostro spirito col fuoco del suo amore. Le Stimmate non sono dunque un privilegio “privato” di Francesco, quanto una realtà ardente e viva per noi oggi. Il fine è farci partecipare alla morte e risurrezione di Cristo, quindi alla sua Pasqua. Ma non è forse questo il cuore di tutta la vita nuova secondo lo Spirito che abbiamo ricevuto nel battesimo? È quello che dice Paolo: partecipare alle sue sofferenze (dolore) per entrare nella sua vita (gioia). Accogliere il rifiuto che ha ricoperto Gesù, per lasciarci raggiungere e trasformare dal suo amore. Questa tensione tra dolore e gioia, rifiuto e amore, la troviamo nella visione di Francesco su questo monte: A quell’apparizione il beato servo dell’Altissimo si sentì ripieno di una ammirazione infinita, ma non riusciva a capirne il significato. Era invaso anche da viva gioia e sovrabbondante allegrezza per lo sguardo bellissimo e dolce col quale il Serafino lo guardava, di una bellezza inimmaginabile; ma era contemporaneamente atterrito nel vederlo confitto in croce nell’acerbo dolore della passione. Si alzò, per così dire, triste e lieto, poiché gaudio e amarezza si alternavano nel suo spirito. Cercava con ardore di scoprire il senso della visione, e per questo il suo spirito era tutto agitatoFrancesco è raggiunto da un incontro nuovo con il Signore, tale da sovrastarlo e lasciarlo come tramortito. Non può comprendere, piuttosto è chiamato a lasciarsi abbracciare, raggiungere nella sua realtà più profonda, lì dove lo attende la conformazione a Cristo, l’accoglienza della sua forma, del suo modo di essere, di vivere, di amare e morire. Francesco ci fa vedere come nella vita dello Spirito non tutto è chiaro e conseguente, disponibile alla nostra comprensione. Occorre accettare che ammirazione e incomprensione si mescolino, che qualcosa sfugga, che non tutto possa essere preso. Lo sperimentiamo nella nostra vita e in quanto si muove intorno a noi: quanto dolore e amore si mescolano! Quanta ricerca, slancio insieme a paura e incertezze! E quanto tutto ciò ci turba e confonde. Vorremmo un cammino lineare e tranquillo e invece, come il Serafico, il nostro spirito è molto agitato perché non riusciamo a cogliere il senso di ciò che ci accade. Come credenti o questo turbamento ci spaventa. Forse non abbiamo fede? Oppure siamo chiamati a percorrere un’altra via per crescere nella fede: l’abbandono e la consegna di noi stessi alla sua presenza viva e operante nel vivo delle contraddizioni e fragilità della nostra esistenza mortale e limitata. La chiamata alla Vita, la Pasqua di morte e di resurrezione accade proprio dentro il groviglio delle nostre povere vite, che siamo chiamati ad accogliere e a riconoscere come luogo di salvezza. Oggi più che mai, proprio in quella debolezza radicale che la pandemia ci ha fatto toccare con mano. Cosa ci permette il passaggio alla letizia pasquale? Senz’altro la consolazione che possiamo sperimentare attraverso la fiducia nel Padre che non ci inganna, ma ci vuole far entrare nella sua intimità di dolore e di amore, offrendoci se stesso. Sì, perché, se il Serafino si presenta così al Poverello, vuol dire che in Dio stesso amore e dolore s’incontrano, nella logica del dono di sé totale, che in un certo senso fa uscire da sé il Signore, lo rivolge verso il mondo e verso di noi, fino a farlo partecipe del nostro grido. Se, infatti, in rapido volo il Serafino si rivolge a Francesco, questi sa che il Signore gli va incontro, lo cerca, lo abbraccia e lo segna, per sempre. Chiediamoci perché san Francesco nel Testamento non parli di questa iniziativa del Signore verso di lui, mentre ricorda le altre (lebbrosi, sacerdoti, fratelli, la chiesa…). Certamente ha voluto nascondere il segreto del gran Re da una parte e dall’altra questo incontro non ha altri soggetti con sé, ma è diretto solo a lui, piccolino, è sigillo per il suo cammino e segno potente per chi lo seguirà. Francesco vuol sentire nella sua anima e nel suo corpo il dolore che Gesù ha sostenuto nell’ora della Passione e nello stesso tempo chiede di sentire nel cuore quell’eccessivo amore dal quale il Figlio di Dio era acceso per noi peccatori. Di nuovo dolore e amore che si incrociano e mostrano in Francesco – e in noi – la logica della Pasqua. Prendere la croce e seguire Gesù in questa via di dolore e di amore è il nucleo incandescente dell’esperienza cristiana di Francesco. Il resto va compreso e illuminato da questo centro. La glorificazione di Dio nelle creature, l’amore ai fratelli, la missione di pace: tutto in lui è riverbero e frutto della Pasqua del Signore. Ecco la risposta da parte del Signore che Francesco aspettava, dinanzi a incomprensioni e amarezze da parte dei suoi fratelli e al timore di aver sbagliato bersaglio con le scelte: Dio invita Francesco, ancora una volta, ad attraversare la Pasqua di morte di risurrezione del Figlio, tanto potente da lasciare i suoi segni nella carne di Francesco. Lo invita a perdere la propria vita nella libertà dell’amore, a non trattenersi, a lasciarsi andare, per ritrovarsi in modo nuovo: dono e non accaparramento, accoglienza e non possesso. Solo così la persona di Francesco e la nostra giunge alla sua verità: persona che si relaziona, esce da sé, si ritrova nella libertà dell’amore che sa sottomettersi all’altro e non affermarsi a tutti i costi. Francesco ha lasciato che il Signore entrasse addirittura nella sua carne e gli lasciasse un segno, un bacio infuocato d’amore, come aveva lasciato che i lebbrosi lo abbracciassero, i sacerdoti peccatori gli impedissero di predicare, i fratelli lo accogliessero, gli infedeli gli parlassero. Un uomo disarmato e povero perché libero, di amare e di servire. Per questo libero di lasciarsi amare. Il mistero delle Stimmate ci è allora così vicino, prossimo, familiare. Mentre lo celebriamo nella memoria della Pasqua del Signore, chiediamo di lasciarcene attrarre e trasformare.

frate Massimo Fusarelli

La Verna, 17 settembre 2021