Tra il sale e la luce, tra il gusto e la vista, altre due immagini s’infilano di sfuggita tra le righe della pagina evangelica: i piedi della gente, che cammina distratta e veloce su quel sale che invece avrebbe dovuto essere sulla tavola ad insaporire i cibi, e un gesto incauto che soffoca la luce mettendola sotto un moggio, recipiente usato di solito per misurare le granaglie senza usare la bilancia.

Come possa accadere che il sale perda il sapore fino a diventare inutile, occorre chiederlo alle righe che precedono immediatamente il nostro brano.

È il discorso con cui Gesù inaugura tutta la sua attività. In esso vengono dichiarati beati i poveri, gli afflitti, i miti, quelli che hanno fame e sete della giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati per la giustizia, perché possono essere certi di una presenza e di una promessa particolare di Dio in un cammino di felicità, che fiorisce proprio in quelle condizioni incerte, impegnative, svantaggiate.

Questo è il sapore forte e inconfondibile che Gesù dona ai suoi discepoli, mandati a ridonare il gusto di vivere a chiunque, senza fermarsi di fronte alle mense più indigeste dell’esistenza, come la povertà, l’afflizione, la mancanza di giustizia e di pace, anzi riscattandole in un banchetto buono, abbondante, finalmente aperto a tutti e dove Dio stesso è commensale tra i suoi figli e figlie.

I discepoli sono chiamati ad essere invisibili ma efficaci, come il sale; pronti a servire fino a dissolversi, ma senza protagonismi e con giusta misura, come il sale.

Se perdono la sapidità delle beatitudini, scivolano dalla tavola alla strada e non danno più gusto alla gente che vi cammina sopra tenendosi povertà e lacrime nascoste come maledizioni o inseguendo a tutti i costi una qualche allegria forte, rapida e vincente.

Il potere buono del sale appartiene al Padre che è nei cieli, egli ce lo dà con fiducia, donandoci anche la Parola del vangelo per imparare da Gesù ogni giorno a metterlo a servizio.

Pensare di custodire la propria identità cristiana al riparo dalla complessità del vivere degli uomini e delle donne, senza entrare in dialogo e in empatia, equivale forse al gesto incauto di chi, per proteggere la fiamma da qualche corrente d’aria, la mette al sicuro sotto il moggio. Ma così la soffoca.

Ci vuole piuttosto il coraggio di tenere alta la luce sul candelabro e il gesto mite di riparare la fiamma con il palmo della mano. Chi ha acceso la luce che è in noi è quello stesso Padre che ha acceso il sole per il giorno e la luna e le stelle per la notte. Chi segue il suo Figlio – luce del mondo – avrà sempre la luce della vita a la beatitudine dei poveri.

Chiara Amata

Monastero Santa Chiara – Milano