Una sera, sul lago di Tiberiade. Qualcosa di grosso era successo a Pietro negli ultimi anni, qualcosa di talmente grosso da spingerlo a lasciare casa e lavoro per seguire Gesù nei suoi spostamenti. Poi però era successo qualcos’altro: le incomprensioni, le tensioni crescenti con i capi dei sacerdoti, l’arresto, la crocifissione. Il dolore, la paura e il vuoto. Poi anche la gioia della risurrezione e delle apparizioni. Gesù è vivo, ma non è più possibile stare con lui come prima. Cosa è successo veramente? Il periodo trascorso insieme al Maestro è stato solo una parentesi nella vita di Pietro o è qualcosa che ha lasciato un segno più profondo e che ancora porterà conseguenze? Forse lo stesso Pietro ancora non l’ha capito e mentre ci riflette su, viene naturale tornare alle sicurezze di ciò che si conosce.
Così quella sera Pietro va a pescare, va a fare ciò che ha fatto da una vita: il pescatore di pesci. Sono diversi, però, in coloro che vanno con lui: non più soltanto i figli di Zebedeo, gli storici soci in affari, ma anche Tommaso, Natanaele e altri discepoli, i nuovi compagni, uniti a lui non da vincoli di lavoro, ma dalla comune amicizia con Gesù. “Ma quella notte non presero nulla.” La pesca miracolosa ha le caratteristiche divine che noi cristiani siamo ben abituati a riconoscere: il fallimento delle sole forze umane, la parola di Gesù che invita oltre l’esperienza, l’obbedienza della fede, i frutti sovrabbondanti nella cooperazione tra l’opera divina e quella umana. Oltretutto l’evangelista continua a dircelo: è una delle manifestazioni del Risorto. I discepoli però non lo capiscono subito; Pietro stesso ha bisogno di un altro, del discepolo che, con gli occhi dell’amore, gli indica il Signore. E lui, impulsivo come sempre, si butta in acqua per andare da Gesù. Alcune impressioni possono nascere dalla meditazione su questa scena. Primo: nemmeno il Risorto è lo stesso Gesù di prima; non è tornato indietro tale e quale dalla morte, come Lazzaro o il ragazzo di Naim. È andato oltre. Secondo: dovremmo ringraziare più spesso i fratelli e le sorelle che abbiamo accanto, per quante volte ci svelano il volto del Signore, che anche noi vediamo, ma non sappiamo riconoscere. Terzo: il buttarsi in acqua di Pietro è abbastanza inutile. Non dobbiamo però avere paura di fare cose non così necessarie, se ci avvicinano a Gesù. Niente di ciò che è fatto per amore è sprecato. «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene» gli dirà poco dopo, per tre volte. Sì, Gesù conosce il cuore di Pietro, conosce il mio cuore e ancora si fida, nonostante le cadute, i tradimenti, il fingere di non conoscerlo quando le cose si fanno difficili. Forse in quella triplice attestazione di fede e di amore Pietro è chiamato a riconoscere non solo l’amore di Gesù che chiede di essere ricambiato, ma l’amore di Gesù che non si ferma davanti ai nostri peccati, ma accetta ciò che possiamo offrirgli, senza pretendere risultati grandiosi.