«(…) i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo» (Mt 11,5). È questa la risposta di Gesù alla domanda che gli era stata ‘spedita’ dal cugino Giovanni: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. Le parole del Signore sono un collage di citazioni bibliche, tratte dal libro del profeta Isaia: “gli occhi dei ciechi vedranno” (Is 29,18); “si schiuderanno gli orecchi dei sordi” (Is 35,5); “lo zoppo salterà come un cervo” (Is 35,6); “i cadaveri risorgeranno” (Is 26,19); “portare il lieto annuncio ai miseri” (Is 61,1). Quest’ultima è l’opera messianica per eccellenza, la sintesi di tutto: l’evangelizzazione dei poveri. Diventa interessante e provocatorio, pensando al Battista che si trova in carcere, rileggere tutto il primo versetto del capitolo 61 di Isaia: “Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri”. La missione di colui che Dio ha consacrato con l’unzione non si limita a evanescenti parole di conforto rivolte ai derelitti, ma si concretizza in gesti e azioni efficaci: il prigioniero deve essere scarcerato! Giovanni è stato imprigionato da Erode e attende la propria liberazione; la richiesta che lui fa pervenire all’amico è drammatica, e pone un serio interrogativo circa la messianicità di Gesù. Ancora una volta le parole di Cristo rinviano al tratto peculiare del suo stile: la debolezza. È l’Agnello, il Servo, il terapeuta, il pane spezzato, il vino versato, il messia umile che entra a Gerusalemme sul dorso di un asino, colui che rifiuta ogni violenza e non sa organizzare gli eserciti, il Maestro che dice al discepolo: “Rimetti la spada nel fodero”. Il Battista aveva preannunciato la sua venuta con toni molto energici: “colui che viene dopo di me è più forte di me”. Quale modello messianico si era immaginato Giovanni? Anche lui deve fare i conti con la debolezza di Gesù. E anche noi come lui facciamo una fatica enorme ad accettare questa sua fragilità: fa comodo a tutti un messia che risolve i problemi di salute a colpi di bacchetta magica, che annulla i conflitti in un lampo, che premia i buoni e castiga i cattivi. Ma è questa la forza di Gesù: è il Figlio di Dio che non chiede per sé privilegio alcuno; attraversa come noi il dolore e la morte; si lascia abitare come ogni terrestre da tante domande che non hanno risposta. È l’antidoto al gesto violento di Eva e di Adamo, che strappano l’unico frutto a loro precluso, incapaci di benedire con gioia il creatore per tutti i regali che il mondo contiene; incapaci di imprimere alla propria esistenza umana il marchio della donazione, della dedica, dell’essere cura per gli altri. Il peccato originale nasce dal virus del risentimento, che diventa tristezza, pretesa, rivendicazione e aggressività. Vincere dentro di noi questo male oscuro è il processo di liberazione profonda che Gesù ha reso possibile, con la sua morte e la sua vita.       

Don Andrea Guglielmi parroco