“Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio” Mt. 22,1

Le letture di oggi ci propongono un salto di qualità rispetto a quanto abbiamo ascoltato nelle scorse domeniche, si passa dalla vigna al suo frutto, il vino, e da questo al banchetto di nozze dove, come ci racconta san Giovanni nelle nozze di Cana (Gv, 2,1-11), il vino scorre in abbondanza.

La categoria biblica del banchetto si distingue per la sua rilevanza tematica e le connessioni narrative a cui viene associata, tra queste il tema dell’amicizia, della famiglia, della solidarietà, della vita, dell’ospitalità e non da ultima della celebrazione liturgica,.

Nella prima lettura troviamo il magnifico brano del profeta Isaia, che ci descrive il banchetto finale che lo stesso Dio preparerà per tutti i popoli del mondo, nessuno escluso. Con questo banchetto, Dio si manifesta agli occhi del popolo in maniera che tutti lo possano vedere (toglie il velo), sconfigge la morte fino alla sua totale scomparsa. Il messaggio di Isaia è rivolto a tutti i popoli del mondo, che si uniranno in una sola alleanza per godere di una nuova condizione, dove non esisterà né dolore, né sofferenza, né morte.

Il profeta però ci ricorda anche che il grande compito che ci è affidato è quello di costruire un’umanità fraterna, di preparare il banchetto con tutti gli uomini, senza distinzione di razza, religione, credo politico, nel quale spezzeremo insieme, con gioia, quel pane che oggi, purtroppo, il nostro egoismo ci spinge a strappare agli altri. Il testo di Isaia non si limita ad un solo il gesto sacramentale, ma ci porta oltre, perché esprime il senso di tutta la storia contenuta nel progetto di Dio. Noi non siamo chiamati solamente a qualche pratica religiosa, ma a essere protagonisti nella costruzione di un’umanità solidale.

Il vangelo riporta l’ultima delle parabole del regno, quella del banchetto nuziale. Gesù ribadisce il concetto che il regno non è semplicemente il dopo-morte, ma un presente già iniziato e che deve condurre alla ‘nuova alleanza’. Il regno di Dio è là dove si incontrano tutti coloro che accolgono la Parola di Dio e realizzano la pace, la giustizia, la fraternità, la comunione tra tutti i popoli.

Il banchetto esprime la vocazione dell’uomo, chiamato alla gioia di una convivenza nuova. Sorprende, nella parabola evangelica, l’incomprensione di questa vocazione così entusiasmante e il rifiuto degli invitati. L’invito cade nel vuoto, le scuse, allora come oggi, sono le stesse: non ho tempo, ognuno ha i suoi affari… come se ci fosse qualcosa di più importante nella vita, che scoprirsi amati da Dio. Hanno tutti da fare! C’è poi chi insulta e uccide i servi. Sì, perché danno fastidio, non sono in linea con la loro mentalità ed è bene farli tacere, meglio eliminarli! Gli invitati vivono per le cose, non hanno tempo per la gioia. Costruire un futuro più umano è sentito più come un dovere, come un peso, che come una gioia.

Nel linguaggio parabolico ci è detto che il disegno di Dio non fallisce, cerca altre strade, luoghi diversi, impensati come possono esserlo i crocicchi delle strade; persone diverse, cioè “tutti quelli che troverete” perché nel Regno c’è posto per tutti.

Gesù però ci avverte che la semplice presenza nella sala del banchetto non basta: se il primo atteggiamento è la festa, il secondo atteggiamento è riconoscere lui come unico e chi non ha questo atteggiamento non ha la veste per andare alle nozze. È quello che è successo all’ultimo personaggio di cui ci parla il vangelo: gli invitati a una festa di nozze, a quel tempo, ricevevano, all’ingresso, una veste da indossare, ma questo personaggio vuole invece distinguersi, non vuole condividere, oppure è entrato di nascosto, con l’inganno, non facendosene accorgere.

L’invito iniziale alla festa (e alla fede) è rivolto a tutti, buoni e cattivi. Non importa il nostro passato, non importa da dove veniamo. Conta solo la nostra risposta. Però non basta accettare l’invito, non basta un’adesione superficiale. La fede deve cambiare la vita. Non è sufficiente dirsi cristiani, ci vuole un impegno costante per cambiare la propria vita.

L’invito alle nozze della parabola di Gesù ci richiama l’invito alla cena eucaristica; purtroppo però i nostri momenti religiosi hanno perso vigore e gioia, perché hanno smarrito il riferimento alla vita dell’uomo, alla storia che noi siamo chiamati a costruire. Sono diventati riti che restano ai margini della vita, perché hanno perso il loro legame con le speranze degli uomini. Chiediamoci allora se quando partecipiamo alla messa indossiamo veramente l’abito della festa, cioè la nostra fedeltà all’impegno cristiano. “Molti sono i chiamati, ma pochi gli eletti”; il segreto per essere eletti, oltre che chiamati, è ancora e sempre la coerenza della vita all’insegnamento di Cristo.

Di questa coerenza ci parla san Paolo nella sua lettera ai Filippesi, “tutto posso in colui che mi dà la forza”. È Gesù che gli dà la forza spirituale per affrontare ogni prova della vita, vissuta nel positivo e nel negativo, ma pur sempre al servizio del Vangelo.

Nel salmo viene sottolineata l’ospitalità generosa sotto la tenda nel deserto, oltre all’invito del pastore a camminare; nel cammino della fede è importante sentirsi parte di una comunità che fa riferimento al vero pastore.

don Oreste – Anna e Carlo – CPM Torino