Gesù conosce il cuore dell’uomo e sa che può passare facilmente dalla meraviglia allo sdegno. Per questo sollecita i suoi uditori a vagliare nella verità ciò che provano e ciò che dicono. Li provoca, perché tolgano dai loro occhi e dal loro cuore il velo del pregiudizio.
La domanda apparentemente spontanea e innocua: “Non è il figlio di Giuseppe?” in realtà insinua un dubbio in quello che Gesù ha detto nella sinagoga di Nàzaret, nella sua presunta autorevolezza: in fondo questo uomo, che afferma di portare a compimento la parola della Scrittura e di liberare gli oppressi, è il figlio di un falegname. Le sue origini note ai compaesani lo tradiscono, il Messia non può venire da Nàzaret.
Gesù cerca di condurre la sua gente oltre ciò che credono di sapere: la presunzione è la loro. Il pregiudizio si fonda su tale presunzione, su una conoscenza parziale e ottusa, ancorata al passato e incapace di aprirsi alla realtà come appare davanti agli occhi. La meraviglia se resta emozionale e non accende la curiosità della conoscenza può trasformarsi in indifferenza ostile. Occorre l’umiltà di porsi di fronte la mistero dell’altro e credere nelle sue opere e nelle sue parole, tanto più quando tra le due vi è perfetta corrispondenza; solo così le precomprensioni si evolvono in una comprensione autentica e sempre in divenire.
Chi si mostra più aperto alla novità del Cristo, proprio perché scevro di giudizi precostituiti, sono le persone estranee, non appartenenti al popolo eletto, senza la formazione religiosa adeguata; eppure proprio loro hanno lo sguardo libero, sono disposte a rivedere le proprie convinzioni, a lasciarsi sorprendere da chi dona la vita vera.
Dai nostri occhi possa cadere il velo dell’indifferenza, dell’abitudine, del pregiudizio, per vedere le meraviglie che il Signore opera in noi e nei fratelli.
D.S.