Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Gv 14,18
Oggi la liturgia inaugura questa ultima quindicina che precede la Pentecoste, con il Vangelo che contiene il grande annuncio del dono dello Spirito da parte di Gesù. Noi siamo così abituati a questi testi che rischiamo di passarci sopra quasi con indifferenza, ma in realtà cosa dev’essere stato quel discorso dell’ultima cena da parte del Signore! E che cosa dev’essere stata la comprensione progressiva, il rivelarsi di questo discorso ai discepoli! Perché quando il Signore ha detto quelle parole, il cuore dei discepoli più o meno le ha registrate, ma è solo dopo il dono dello Spirito che i discepoli capiscono che cosa è stato il “discorso sullo Spirito”. E questo vale anche per noi! La comunità cristiana, l’esistenza cristiana, che inizia con l’annuncio della fede e col battesimo, richiede infatti la pienezza dello Spirito Santo. È indispensabile. Perché è solo il Paraclito che ci porta alla piena attualità del nostro essere cristiani, cioè non soltanto a credere e a compiere le opere virtuose di un battezzato, ma a morire con Cristo e a risorgere con Lui. Infatti, come non c’è vero e pieno cristianesimo finché non si è cominciato a patire col Signore (Ignazio di Antiochia), così non c’è possibilità di vita piena secondo Cristo, finché lo Spirito non è in noi in quella pienezza che ci permette di saper morire e di saper risorgere col Signore. È solo lo Spirito che ci porta a questo atto veramente pieno del nostro essere cristiani, e che ci dà già da adesso, in vista della nostra conclusione ultima, di morire parzialmente, giorno per giorno, nelle piccole croci, nelle piccole contraddizioni quotidiane, ma ci dà anche di sperimentare quel sollievo e quella risurrezione che si trova quando sappiamo accettare nella pace la contraddizione che poco prima ci ha turbato, perché altrimenti non c’è risurrezione. Ogni volta che accettiamo di morire, sia pure per una particella del nostro essere, in qualche cosa che ci viene negato o contraddetto e ogni volta che accettiamo l’esperienza di morte e turbamento che ciò ci procura, lo Spirito Santo ci porta a ritrovare un’esperienza viva della risurrezione. Questo è morire con Cristo e risorgere con Lui già adesso, nel quotidiano. Solo lo Spirito opera ciò: “messo a morte nella carne ma reso vivo nello Spirito”.
Che consolazione immensa! Quella di potere già sperimentare, molte volte al giorno, gli anticipi della risurrezione, che veramente si toccano con mano, perché da un momento all’altro tutto passa: siamo nella morte e, un istante dopo, un soffio piccolo dello Spirito ci fa rinascere. Il Signore stesso non fa un grande gesto per alitare sui discepoli, socchiude le labbra appena appena… Il nostro essere, già vivificato dallo Spirito Santo in virtù della cresima, ha bisogno di così poco perché il soffio di Cristo trasformi tutto.
Invochiamo insieme per noi e per la Chiesa questo passaggio continuo dalla morte alla vita, che non è frutto del nostro merito, ma è il dono soavissimo di Cristo e del suo Spirito nell’amore del Padre.
sr. Nella Letizia clarissa di Rimini