Il regno dei cieli è simile a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo. Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò. Quando poi lo stelo crebbe e fece frutto, spuntò anche la zizzania. Mt 13,24-25
Il lungo testo matteano che la liturgia di questa domenica ci presenta, si basa su una serie di antitesi: il proprietario del campo / l’avversario, il buon grano / la zizzania, il tempo presente della semina e della crescita / il tempo finale della mietitura, tra il granaio / il fuoco…
Ma centrale appare il dialogo tra il proprietario e i servi: questi ultimi sono impazienti, vorrebbero vedere immediatamente estirpata la zizzania, con il rischio – però – di strappare anche il buon grano.
È l’immagine di una comunità cristiana che asseconda una mentalità fondamentalista: la chiesa è una comunità di puri, perfetti, e non può accettare al suo interno alcuna sbavatura…
È l’illusione che da sempre abita il nostro cuore nella lettura della realtà che ci circonda: tutto bianco, o tutto nero, senza possibilità di “compromessi”.
Ma Gesù ribalta questa prospettiva e invita i discepoli alla pazienza e alla misericordia, che è la forma più alta dell’amore.
E ben si comprende il contesto in cui questa parabola affonda le sue radici: Gesù annuncia la venuta del Regno di Dio, la salvezza per il popolo eletto. Dove e come si realizzerà tutto questo? Aveva fatto miracoli, ormai il tempo sembrava davvero maturo…
E invece, Gesù non costituisce alcuna comunità di perfetti, sceglie i suoi discepoli tra la gente comune, uomini poveri e feriti, peccatori, perfino!
E non vince i potenti del suo tempo con opere militari. Semina invece piccoli germogli di buon grano, minuscoli semi di senape, nasconde infinitesime quantità di lievito nelle vite di coloro che incontra… Papa Francesco direbbe oggi: “inizia processi”! Minuscoli, invisibili, ma che portano in sé tutta la potenza della vita nuova del vangelo.
Questi processi si “mescolano” nelle pieghe spesso complesse della storia, senza alcuna pretesa di sradicare il male, forse proprio perché alla base resta la certezza che la forza trasformante della vita di Dio è comunque più forte di ogni male.
La medesima lettura può essere fatta riguardo alla nostra esperienza personale.
Quante volte abbiamo desiderato estirpare da noi stessi alcuni peccati, ferite, esperienze negative… eppure, no. Se davvero abbiamo lasciato entrare nella nostra vita il Signore, ci siamo resi conto che Egli viene a salvarci non “nonostante” il male che ci abita, ma esattamente laddove il male ci abita. Il male non è mai l’ultima parola sulla nostra vita e sulla storia.
Potremmo arrivare a dire che quella zizzania è perfino necessaria all’opera della salvezza.
Questo è sconvolgente per noi, come è sempre sconvolgente la parola forte del vangelo!
Sr. Emanuela Roberta – Monastero santa Chiara – LOVERE