La guerra in Ucraina, giunta ad un anno dal suo inizio, ha fatto emergere una diversità di posizioni circa il tema della pace, della non violenza, della guerra giusta, del diritto alla difesa… Anche tra i credenti non si registra una posizione univoca. Ci sembra importante continuare a riflettere su questi temi, affinché le nostre convinzioni e le nostre scelte siano sempre più aderenti al Vangelo e alla logica del Regno di Dio. Vi proponiamo pertanto una sintesi (sulla pagina web della Provincia) di un interessante articolo di p. Giuseppe Riggio SJ, direttore di Aggiornamenti Sociali, sperando di stimolare la riflessione e il confronto fraterno.

 Il ritorno della guerra in Europa. L’operazione militare speciale in Ucraina, come definita ufficialmente dal presidente russo Vladimir Putin, lanciata il 24 febbraio 2022, ha messo fine a un periodo di oltre 75 anni durante i quali in Europa non ci siamo confrontati così da vicino con la cruda realtà della guerra, a parte i conflitti seguiti alla dissoluzione della Iugoslavia negli anni ’90 del secolo scorso. Doveva essere una guerra lampo, ma si è tramutata in un conflitto a oltranza dopo che la rapida avanzata iniziale delle truppe russe è stata fermata, e in molti casi anche ricacciata indietro, dalla resistenza ucraina, sostenuta da un’ampia alleanza di Paesi che hanno fornito armi e aiuti umanitari. Contemporaneamente all’invasione è iniziata la dolorosa contabilità delle sue conseguenze, che qui ricordiamo per vincere il distacco e l’assuefazione che il protrarsi del conflitto può generare.

La strategia russa mira a colpire le infrastrutture ucraine con un duplice obiettivo: nell’immediato rendere più complicata l’organizzazione della difesa e fiaccare la resistenza della popolazione, costringendola ad esempio ad affrontare l’inverno senza acqua ed energia; sul medio e lungo termine mettere in ginocchio l’economia del Paese, che dovrà ricostruire buona parte delle sue infrastrutture. La devastazione della guerra non risparmia l’ambiente, visto che gli attacchi colpiscono centrali nucleari e industrie chimiche, foreste e riserve naturali, al punto che si stima che ci vorranno cinquant’anni perché possa guarire la ferita causata dal conflitto.

Per non essere spettatori inerti. La lista delle conseguenze del conflitto in Ucraina non si esaurisce con questi dati: vi sono altri aspetti più generali, che ci interpellano direttamente e nei confronti dei quali si pone con maggiore forza l’interrogativo su come rispondere alla violenza distruttiva della guerra.

 Dare parole al discorso della pace. Tra le vittime della guerra vi è la stessa pace. Nel dibattitto pubblico italiano e internazionale, le voci impegnate a costruire occasioni di dialogo e percorsi di pace che prescindano dal ricorso alle armi sono sovente ignorate, considerate ingenue o tacciate di sostenere in modo più o meno palese l’aggressore russo. Al di là della valutazione che se ne può dare, la scelta ipocrita di ammantare l’aggressione militare con una motivazione umanitaria è un indice della forza che il tema dei diritti umani ha definitivamente acquisito, non solo nelle democrazie occidentali.

D’altronde, la strenua difesa del proprio Paese e della propria libertà da parte degli ucraini – al pari delle manifestazioni che da mesi si tengono in Iran – è la riprova che l’anelito e l’attaccamento a questi valori è talmente forte da accettare di rischiare la vita per difenderli o affermarli. Come possiamo tornare a prenderci cura delle nostre istituzioni democratiche, senza ripetere in modo automatico e acritico schemi del passato? Come possiamo amarle e farle evolvere al passo dei cambiamenti che avvengono nella società? La democrazia non è altro che un modo nonviolento di costruire e mantenere la pace sociale in un Paese.

L’assetto mondiale da ridisegnare. L’anelito a superare la logica della violenza come soluzione ai conflitti si ritrova anche all’origine dell’ONU e di altre istituzioni internazionali, che oggi soffrono della crisi del sistema multilaterale. A questo proposito, nel discorso del 9 gennaio 2023 al corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, papa Francesco richiamava l’urgenza di «una riforma degli organi che ne consentono il funzionamento, affinché siano realmente rappresentativi delle necessità e delle sensibilità di tutti i popoli […]. Su questo tema, da tempo al centro dell’attenzione internazionale, non si registrano effettivi passi in avanti. Lo scenario politico mondiale è profondamente mutato dalla fine della Guerra fredda, mentre le maggiori istituzioni internazionali, create nel mondo bipolare dei due blocchi contrapposti uscito dalla Seconda guerra mondiale, sono rimaste congelate nel passato per un gioco di veti reciproci e inerzie. Le implicazioni di politica internazionale del conflitto in Ucraina toccano pure l’Unione Europea, anch’essa nata come strumento per costruire la pace, che resta fondamentale se continua a restare fedele a quell’anelito. La cultura del dialogo indicata da papa Francesco, che deve riguardare tutti gli attori coinvolti (istituzioni internazionali, Stati, società civile), diventa feconda in questa prospettiva, anche per fare tesoro della lezione del passato che vede la nascita delle istituzioni internazionali come frutto di una collaborazione tra soggetti diversi per la gestione nonviolenta del conflitto. Questo accadrà sia se non riduciamo il conflitto in Ucraina alle nostre beghe nazionali (ad esempio, l’impatto del prezzo del gas), perché è indice di una autoreferenzialità poco lungimirante e incapace di tenere conto dello scenario più ampio di cui siamo parte (e in cui vi sono anche altre guerre), sia se non ci abituiamo alla distruzione e alla morte che sta seminando, se non acconsentiamo al pensiero che non vi sia un’alternativa alla guerra.