Il vangelo di oggi ci ricorda una cosa un po’ strana: che nel nostro occhio abbiamo una” trave” che ci impedisce di vedere la realtà… O meglio che vediamo e giudichiamo la realtà ma non ci accorgiamo di avere una “trave” nell’occhio.
Uno dei temi che emergono in questo brano è quello del giudizio, del giudicare l’altro. “Come puoi dire al tuo fratello…” dice il Signore. Spesso ci permettiamo di giudicare le persone per ciò che fanno, per i gesti che compiono senza cercare di capirne le motivazioni. Ci sono persone che per tutta la vita si portano il nome dell’errore che hanno compiuto e sembra che non gli sia concesso da parte della società il diritto di poter cambiare. Questo lo si vede soprattutto nei piccoli paesi. Di fronte a ciò che dice il Signore Gesù, la domanda che emerge è: ma se io mi permetto di giudicare l’altro vuol dire che ne so più di lui della vita, e forse è vero, quindi devo essere disposto anche ad andare ad aiutarlo o per lo meno a stargli accanto. Ma spesso il giudizio rimane tale. Ci si pensa maestri di vita e non ci si rende conto che tutti abbiamo bisogno di misericordia per poter vivere.
Nella Scrittura si parla non di lingua biforcuta, ma di lingua triforcuta: chi parla male di qualcuno fa male a se stesso, a colui che ascolta e alla persona di cui si parla. E’ molto interessante e vera questa lettura sapienziale.
“Non c’è albero buono che faccia frutti cattivi…” si dice verso la fine del vangelo. Chiediamoci, allora, che frutti raccolgono le persone che ci incontrano, se frutti buoni, come fichi od uva oppure cattivi come spine o rovi. Chi viene a cercarmi come cristiano trova qualcuno che è disposto a dare la vita o uno che pensa a se stesso, agli “affari suoi”?
Coscienti che il Signore è stato l’unico disposto a prendersi le mie spine e i miei rovi su di sé perché io possa continuare a fiorire e dare frutti buoni.