“il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce” Mt. 17,2

Nella domenica odierna, che quest’anno “ospita” la festa della Trasfigurazione del Signore, siamo invitati a contemplare ancor più chiaramente la luce della risurrezione che rifulge sul volto di Cristo, il Figlio del Dio vivente (è la confessione di fede di Pietro, che precede di poco il brano evangelico). Siamo chiamati a rimanere in questo “cono di luce” per essere avvolti dal suo amore, gioia per il cuore di ogni uomo, come lo stesso apostolo in quel frangente sperimentò, esclamando con emozione: Signore, è bello per noi essere qui! (Mt 17,4). Non ci troviamo quindi semplicemente davanti ad un episodio del Vangelo su cui riflettere, ma di una esperienza cui aprirsi. La liturgia stessa di questa festa ci guida in tal senso, con le sue tracce di luce.

L’antifona di ingresso alla Messa, come una porta, ci introduce nel mistero e ci specifica il contesto in cui l’evento avviene: si tratta di una manifestazione trinitaria, nella quale anche noi che celebriamo ci troviamo implicati: nella nube luminosa apparve lo Spirito Santo e si udì la voce del Padre: ”Questi è il mio Figlio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo”. Quanto proferisce la voce del Padre riguardo al Figlio, oltre ad essere la frase posta al centro del Vangelo (Mt 17,5b ripresa anche dal versetto all’alleluia), è nuovamente offerta al nostro ascolto nella seconda lettura, tratta da una delle due lettere dell’apostolo Pietro (2Pt 1,17). Ci è qui donata, fra l’altro, la parola di un testimone oculare, quale egli stesso si identifica assieme ai suoi compagni: ciò rende il lettore certo della veridicità dei fatti attestati.

Questo importante versetto del Vangelo, dunque, costituisce il cuore della liturgia odierna, ciò che Dio desidera rivelarci perché si ravvivi in noi quella fede battesimale per la quale possiamo riconoscerci come figli amati nel Figlio. E la Chiesa, nell’orazione Colletta, ci fa pregare assumendo la coscienza che il dono della figliolanza divina in Cristo ha un carattere stabile: o Dio, che nella gloriosa Trasfigurazione del tuo Figlio unigenito (…) hai mirabilmente preannunciato la nostra definitiva adozione a tuoi figli, (…). Il fine del nostro celebrare è quindi trovarci coinvolti nella realtà evangelica più consolante per il nostro cuore, che nel sacramento si traduce in esperienza viva.

Credendo, ma soprattutto vivendo secondo questa fede, possiamo entrare più strettamente in comunione con il Padre e con Gesù nello Spirito Santo. Questo, tuttavia, già si realizza in modo effettivo, oggi come in ogni Messa, nel momento in cui riceviamo l’Eucaristia.

La preghiera dopo la comunione fa ulteriormente invocare: il pane del cielo che abbiamo ricevuto ci trasformi, o Padre, a immagine di Cristo, che nella Trasfigurazione rivelò agli uomini il mistero della sua gloria ed esprime per ciascuno di noi l’auspicio che, in virtù del Sacramento ricevuto, la gloria rivelata nel Figlio rifulga nei nostri cuori e sui nostri volti ad immagine del Figlio amato. Come non pensare a S. Chiara, che era talmente unita nell’amore al Cristo, povero e crocifisso, che abitualmente usciva dalla sua preghiera con il volto raggiante di luce (cfr. Fonti Francescane 3199)?

La Colletta conclude: fa’ che ascoltando la Parola del tuo amato Figlio, diventiamo coeredi della sua gloria. Per noi, la cui esistenza non è segnata da luci straordinarie ma dallo scorrere continuo degli umili eventi quotidiani, è solo grazie alla solidissima  Parola, ascoltata con costanza nella fede lungo il discepolato di tutta un’esistenza, che veniamo trasformati in ciò che impariamo a contemplare del mistero di Cristo. Ad essa dobbiamo volgere l’attenzione come a lampada che brilla in un luogo oscuro (2Pt 1,19) e rimanere con l’orecchio costantemente teso al divino sussurro di una brezza leggera  (1Re 19,12), come faceva il profeta Elia, che nella visione dei tre apostoli colloquia con Gesù insieme a Mosè, nostro padre nella fede. Questa voce delicata spira nel nostro cuore per fargli intendere: “sei figlio/figlia amato/amata …”! Tale voce va difesa dalle mille altre voci che, soprattutto dal di dentro, tentano di soffocarla. Se rinnegando noi stessi, come Gesù insegna a chi vuole porsi alla sua sequela (pericope immediatamente precedente al Vangelo della Trasfigurazione (Mt 16,24), ci “arrenderemo” ad essa verremo inondati di luce, cioè finché non spunti il giorno e non sorga nei vostri cuori la stella del mattino  (2Pt 1,19).

Sr. Elena Amata clarissa del monastero di Vicoforte