“Avete inteso che fu detto: Occhio per occhio e dente per dente. Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi … amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano,  affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli”.  Mt 5,38-48

 “Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente”(1Cor 3,18) L’affermazione di Paolo sembra commentare bene lo stupore che nasce di fronte alla pagina di Vangelo di questa domenica, che agli occhi del mondo sembra follia. Gli spazi della giustizia si allargano a tal punto da inglobare la misericordia, fino a raggiungere quella forma alta dell’amore che “tutto scusa, tutto crede,  tutto spera, tutto sopporta” (1Cor 13,7).

Non opporsi al malvagio: chi umanamente è disposto a farlo? In un tempo in cui la richiesta di giustizia fa alzare i toni della guerra e aumentare le armi, appare davvero follia. Il Vangelo non ci invita a subire passivamente il male ma a non cedere alla violenza, imparando a rimanere con il cuore libero, fino al punto che dentro l’ingiustizia si scopre la possibilità di amare e di pregare per chi ci perseguita. A chi lo ha percosso sulla guancia Gesù non ha offerto l’altra guancia ma gli ha fatto dono della sua stessa vita.

Solo chi ha sperimentato il proprio essere figlio del Padre può arrivare a questo, donando il mantello quando viene chiesta la tunica, facendo due miglia invece che uno, prestando senza chiedere il contraccambio. Sono esempi della vita quotidiana ai tempi di Gesù. Potremmo cercare nella nostra vita quali sono le occasioni in cui questo avviene, in cui invece di ragionare secondo la legge del taglione e del contraccambio, possiamo mettere in circolo l’eccedenza dell’amore.

Si può amare i nemici solo nel momento in cui si fa esperienza di essere amati senza alcun merito, per sola misericordia, si scopre di essere figli, sempre e comunque. Il figlio è reso partecipe della stessa eredità del padre e, nel caso del Padre dei cieli, quell’eredità è la capacità di amare.

Allora impareremo ad agire come il Padre, facendo dono della misericordia a tutti, perché tutti possano essere raggiunti dallo stesso amore. Fino a provarne compassione, come afferma san Francesco nella IX ammonizione: “Infatti, veramente ama il suo nemico colui che non si duole per l’ingiuria che quegli gli fa, ma brucia nel suo intimo, per l’amore di Dio, a motivo del peccato dell’anima di lui. E gli dimostri con le opere il suo amore”.

Nell’antico testamento non si usa mai l’aggettivo “perfetto” riferito a Dio (così come “misericordioso” non è  mai utilizzato per gli uomini). Lo stesso aggettivo è utilizzato per designare l’agnello integro (perfetto) destinato al sacrificio pasquale. Indica quindi non tanto una perfezione morale ma la dimensione sacrificale, il dono di sé. Potremmo allora parafrasare in questo modo l’espressione “siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei cieli”: fate dono di voi stessi come il Padre fa dono di sé senza misura.

Ancora una volta ci viene data una misura che è oltre ogni misura, non c’è un limite, se non Dio stesso. Siamo dentro gli orizzonti di una promessa: in greco il verbo è al futuro, “sarete perfetti”. La santità non è qualcosa di dato, non è nemmeno un imperativo morale, è un continuo movimento ed è promessa che richiede non tanto sforzo ma fiducia: fiducia nel Padre e nelle sua Parola, che può compiere in noi quanto umanamente sembra impossibile.

Anna Chiara

Sorelle Clarisse Bergamo