“anche i cagnolini mangiano le briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni” Mt. 15,27
«Partito di là, Gesù si ritirò verso la zona di Tiro e di Sidone» Nel vangelo di Matteo ogni volta che Gesù si ritira accade qualcosa di importante, come vediamo in questo episodio. Viene a Gesù una Cananea, una donna appartenente al popolo di Canaan, tradizionalmente nemico di Israele, considerato maledetto, dunque impuro (cfr. Gen 9,18-24). Porta a Gesù un grande dolore, non ha un nome, forse perchè il dolore accomuna tutti, rende uguali tutte le madri. Si rivolge a Gesù con l’appellativo usato dalle folle ebree, sentito forse sulla bocca di ciechi, malati, disperati, che riconoscevano in lui l’Inviato di Dio venuto a salvare, a liberare, a ridare la vita: «Signore, Figlio di David!». Ma certo la sua condizione non era un buon biglietto da visita. A lei, però, non importa sapere di essere considerata nemica e impura, correre il rischio di un rifiuto, di un allontanamento, di una umiliazione: a lei basta aver saputo che Gesù è l’Inviato di Dio, le importa solo di incontrarlo! Nonostante il suo essere “nemica e impura” è aperta e disposta ad accogliere Gesù più che i suoi vicini e compaesani di Nazaret.
«Pietà di me, mia figlia è indemoniata in modo terribile!». Ma Gesù «non le rivolse parola». Gesù prende tempo, la richiesta sembra destabilizzare qualcosa dentro di lui. Ma la donna non si arrende, non cede all’orgoglio ferito, al disagio di sentirsi come ignorata da lui e va’ oltre sé stessa! Un balzo di vera libertà, frutto maturo dei poveri in spirito. Forse proprio questa libertà sorprende Gesù e lo spinge a sciogliere il silenzio e rispondere una prima volta e una seconda, dicendo in modo diverso la stessa cosa: la mia missione è rivolta al popolo di Israele, non agli altri popoli.
«Non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cani». Nella cultura del tempo i cani erano considerati impuri, dunque il riferimento è particolarmente ai popoli considerati impuri, come appunto quello cananeo. È una tesi anzitutto di buon senso: non è bene sfamare chi sta fuori casa, se non si riesce a sfamare chi è dentro, occuparsi dei lontani e non di chi ti vive accanto. Alla luce delle Scritture, che attribuivano all’Inviato la missione di “riunire i figli di Dio dispersi, cioè restaurare l’unità nel popolo eletto”, Gesù sembra comprendere gli orizzonti della sua missione dentro Israele, mentre sarebbe toccata ai suoi discepoli una missione senza confini. La donna e Gesù si trovano l’una di fronte all’altro. La cananea cerca in Gesù quel pane capace di dare la vita anche nelle sole briciole, Gesù cerca nella donna il volere del Padre, quello che ha dovuto imparare a discernere ogni giorno, come tutti noi, attraverso l’ascolto dello Spirito, che parla nelle Scritture, ma anche negli avvenimenti. In questo incrocio di sguardi, Gesù riconosce nella donna la luce della fede e da questa luce si lascia guidare. Nel Vangelo troviamo molte persone che si convertono a Gesù, ma qui è una donna, “nemica e impura”, a convertire lui, a cambiare il suo sguardo, a fargli ripensare la volontà del Padre. Una donna libera da sé, capace di vedere oltre, in profondità, con la forza dell’amore e la luce della fede! Forse grazie anche a lei Gesù comprende quello che poi dirà a tutti: “Questa è infatti la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 6, 39-40).
«Gesù le disse: “Donna, grande è la tua fede! Ti sia fatto come tu vuoi”». Un Dio libero da sé, capace di andare oltre e stupirsi, capace di convertirsi… e sorprenderci!
«E da quel momento sua figlia fu guarita». Da quel momento la cananea conobbe in Gesù “la parola che era presso Dio, la parola che era Dio, la parola che dona la vita, la parola che si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (cfr. Gv 1,1ss)
Sorelle Clarisse