L’evento stupendo della Pasqua di Cristo Gesù è narrato oggi attraverso l’immagine del buon pastore. È una figura evocativa di una realtà ben nota al popolo d’Israele che ha le sue radici nella vita nomade del pastore. Non è così per noi, donne e uomini della globalizzazione, della tecnologia, ma la frequentazione della Parolaci rende familiari con figure e aspetti della realtà lontani dalla nostra esperienza: il pastore, le pecore, il mercenario, il lupo, il recinto delle pecore, sono immagini cariche della potenza della Parola che le illumina alla nostra conoscenza.
Gesù è il buon pastore inviato da Dio a pascere il suo popolo, a prendersene cura, fino a dare la vita.
Si spalanca qui il senso pasquale di questo brano evangelico cioè la manifestazione somma dell’amore di Dio per noi: Dio stesso nel Figlio suo è il lottatore che a prezzo della vita, strappa la preda ai denti del lupo mostrando la bellezza di una vita data per amore. Il vero Pastore lo vediamo vittorioso sulla croce. Egli non è buono/bello solamente per sentimenti teneri, amabili, ma per la dedizione appassionata e indiscussa, per la libertà di obbedire come Figlio amato del Padre: Io do la mia vita, per riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie, io la do da me stesso.
La forza di questa Parola non può non coinvolgere il discepolo. Ciascuno di noi è chiamato ad avere un cuore da vero pastore e non da mercenario, un cuore libero che non fa calcoli, che non mette il profitto personale al primo posto, non rivendica i diritti del benessere, ma ha come movente l’amore folle di Gesù per l’uomo, e si lascia mandare come agnello in mezzo ai lupi(Lc 10,3).I lupi hanno oggi diversa fisionomia: mentalità di potere e di sfruttamento, falsificazione della verità, negazione della vita,ma il pericolo è il medesimo. L’unica guida sicura è la voce del Pastore.
Nell’ascolto della voce del Pastore, cioè della Parola e della testimonianza dei discepoli, maturano il frutto della sequela del Cristo e l’esperienza dell’essere uno in lui. È un dono rivolto a tutti coloro che ascoltano, anche quanti provengono da altri recinti, siano essi diversi per lingua, razza, cultura, religione: tutti chiamati a formare l’unico gregge, l’unico popolo di Dio in cammino, persone libere che hanno Dio come principio e fine e vivono da fratelli servendosi l’un l’altro nell’amore.
Possiamo pensare così della Chiesa, e di ogni comunità credente: un popolo dalle porte aperte, sempre in uscita e in cammino, accogliente e per questo fecondo di vita nuova e risorta, dietro a Gesù, colui che ama, salva e dà la vita eterna, colui che ha l’odore delle sue pecore.