Il vangelo di questa domenica presenta un episodio che si trova nel solo vangelo secondo Luca: l’incontro di Gesù con dieci lebbrosi che vengono guariti dalla loro malattia e, in particolare, con l’unico di loro, un Samaritano, che ritorna da Gesù per ringraziarlo di quanto avvenuto (Lc 17,11-19). Il testo è strutturato in maniera bipartita: una prima parte presenta Gesù faccia a faccia con i dieci lebbrosi (vv. 11-14); la seconda mostra il ritorno del Samaritano guarito da Gesù (vv. 15-19). Si potrebbe pensare che la breve narrazione sia, quanto al genere letterario, un racconto di miracolo, ma l’accento è posto ben più sul comportamento dei lebbrosi guariti, e soprattutto sul comportamento del Samaritano che torna indietro per rendergli grazie (eucharistôn autô: v. 16), che non sull’azione terapeutica di Gesù. Tra l’altro, qui si tratta di una guarigione a distanza, in cui Gesù non tocca nemmeno i malati, a differenza di quanto avvenuto nell’incontro con il lebbroso narrato in Lc 5,12-16. Dunque, se tutti e dieci i lebbrosi trovano la guarigione, solo il Samaritano si sente rivolgere da Gesù le parole “la tua fede ti ha salvato” (v. 19). Tutti guariti, uno solo salvato. E questo a partire dall’atto di ringraziamento che il Samaritano compie. Dopo le parole sulla fede (Lc 17,5-6), questo racconto sottolinea che la fede è sempre grata, è sempre eucaristica, è sempre capace di azione di grazie. La fede porta il credente a ritenere che tutto è grazia, a credere che non solo ciò che egli ha (“Che cosa hai tu che non hai ricevuto?”: 1Cor 4,7), ma anche ciò che lui è, sta sotto il segno del dono preveniente di Dio, e questo rende la fede costitutivamente eucaristica. Potremmo dire che eucháristos, “capace di rendimento di grazie”, è il nome del cristiano.