“Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore! Benedetto il regno che viene, del nostro padre Davide! Osanna nel più alto dei cieli!”Mc 11, 9-10

La prima parte del brano, che introduce questa domenica detta “delle Palme” e che ascoltiamo all’inizio dell’eucarestia, si concentra su Gesù che comanda ai discepoli di preparargli una cavalcatura per entrare in città. Sembrano dei dettagli inutili ed è strano che l’evangelista Marco, sempre così sintetico, si perda in questa lunga spiegazione. Comprendiamo quindi che questo passaggio nasconde un significato importante.

L’entrata di Gesù sull’asino è la realizzazione della profezia del profeta Zaccaria : “Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. Farà sparire i carri da Efraim e i cavalli da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra.

Quindi Gesù decide di manifestarsi ora come re e messia, ma questa epifania ha i tratti molto precisi di una regalità umile; si presenta come il re della pace. 
Nell’A.T. sappiamo come il profeta Samuele fosse contrario all’istituzione di un re per Israele, e nel momento in cui il popolo lo chiede, lo mette in guardia rispetto a tutte le pretese di cui il re potrà rivendicare (1 Sam 8,16). Gesù però nel chiedere l’asino, non lo fa da re arrogante, ma promette la restituzione e non usa violenza. È proprio questa sua modalità di essere, anche lungo la sua passione e morte, che farà esclamare e riconoscere la sua divinità al centurione. Il suo non è un potere-su, legato a una posizione di dominio, a uno spazio da conquistare, ma un potere-per, capace di usare il suo essere per il servizio e il dono, anche quando questo è rifiutato e disconosciuto.

Coloro che lo osannano nel suo arrivo a Gerusalemme, probabilmente non comprendono tutto questo e molti di loro si defileranno velocemente. Noi forse, allo stesso modo, fatichiamo a trasportare questa consapevolezza nella realtà della nostra vita. Spesso infatti nel nostro intimo rivendichiamo ruoli e riconoscenza. Con la sua passione e morte Gesù mostrerà, perfino nell’incomprensione e nella solitudine più dura, cosa significa essere il “principe della pace”. In questa settimana Santa lasciamoci interrogare dalla mitezza del servo-re sofferente per convertire i nostri passi alla via della croce.

frate Stefano