«Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe. Dio non è dei morti, ma dei viventi» (Lc 20,37-38). Il confronto con i sadducei (che a differenza dei farisei non credevano nella risurrezione dei morti) è l’ennesima situazione complicata; ancora una volta Gesù deve essere scaltro di fronte a interlocutori poco trasparenti, che pongono domande subdole. Credo sia illuminante per il nostro cammino di fede la conclusione del suo ragionamento: “Il Signore è il Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe”. E qui l’elenco dei nomi si dovrebbe estendere alle donne e agli stranieri: il Dio biblico mostra la sua tenerezza anche nei confronti di Agar, la schiava egiziana mamma di Ismaele, allontanata dal clan di Abramo per volere di Sara, costretta a rifugiarsi nel deserto in condizioni disperate. Gesù stesso osserva come il suo ‘Abbà’ riempia il cuore di una donna libanese, che spende tutte le energie per invocare la guarigione della sua bambina. E se nella Genesi risulta a tratti incomprensibile la benedizione accordata a Giacobbe, che inganna il fratello Esaù, dopo parecchi anni i due si abbracceranno, constatando non senza meraviglia che il Signore aveva benedetto e accompagnato il cammino di entrambi. Lui è il Dio dei viventi! È talmente innamorato di noi che ci risulta impensabile la mancanza di una vita oltre la morte. La sua specialità è stringere alleanze, mostrare una perenne fedeltà al patto stabilito con il popolo. Israele approda a una nuova identità collettiva attraverso l’esperienza dell’Esodo: alla luce di questo passaggio diventa per sempre il “Popolo di Dio”. Dovremmo sentire l’eco di alcune espressioni ripetute nei salmi, laddove si celebra e si annuncia l’affetto dell’Altissimo, che non verrà mai meno: “Eterno è il suo amore per noi”. Il concetto di ‘vita eterna’ affonda le radici in questa esperienza personale e comunitaria di fede, quando tocchi con mano la Sua presenza e la tua pelle intuisce che è veritiero il nome simbolico dato al messia: “Emmanuele”, “Immanu-El”, “Dio-con-noi”. L’impronunciabile nome divino trasmesso a Mosè – JWHW – ha un sapore di futuro e di eternità: “Io-ci-sarò”; “Io-sarò-con-te”. L’esistenza umana ci presenta ogni giorno il suo conto, un po’ troppo salato talvolta; eppure dentro di noi rimane sempre attiva questa sporgenza, questa sete di speranza e di ulteriorità, la certezza che il riscatto ci sarà. E il profeta Geremia, che ha patito più di tutti il suo legame con Dio, ci consegna le parole struggenti che scolpiscono la grande promessa: “Ti ho amato di amore eterno, per questo continuo a esserti fedele” (Ger 31,3).

Don Andrea Guglielmi parroco