«E mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: “Prendete, questo è il mio corpo”» (Mc 14,22).
L’eucaristia è un processo. Non si tratta di una cosa ferma, immobile, sacra, di fronte alla quale ci dobbiamo arrestare e inginocchiare, in una forma statica di adorazione. Rimanere fermi nell’esperienza dell’adorazione eucaristica, è una modalità preziosissima di preghiera, che ereditiamo dalla tradizione ecclesiale, e che non deve in alcun modo essere abbandonata. Ma quando pensiamo all’eucaristia, visualizziamo automaticamente un oggetto: una particola piccola e rotonda, senza sapore, che è stata consacrata, trattenuta nelle mani del presbitero o dentro all’ostensorio, oppure già ingerita da chi si comunica durante la messa: il corpo di Cristo sarebbe racchiuso in quella minuscola porzione di materia.

Nel racconto più antico dell’ultima cena, che troviamo nel vangelo di Marco, ci viene descritta una dinamica ben diversa. Nell’istante in cui Gesù pronuncia la frase “Prendete, questo è il mio corpo” (Mc 14,22), i Dodici (Giuda compreso) hanno già in mano un pezzo di quel pane, che il Maestro aveva benedetto, spezzato e distribuito.

Quando, in riferimento al vino, dice: “Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti” (Mc 14,24), il calice ha appena fatto il giro e tutti hanno già bevuto. “Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti” (Mc 14,23).

Il corpo di Cristo è un pane spezzato, condiviso e mangiato da una comunità, già entrato in alcuni corpi umani (tra parentesi vale la pena sottolineare che la prima celebrazione eucaristica della storia, in quella stanza al piano superiore, ha coinvolto uomini profondamente indegni, se calcoliamo il fatto che Gesù viene tradito, rinnegato e abbandonato da questi discepoli; ma a nessuno di loro vengono negati il pane e il vino che Gesù consegna). Ripeto: l’eucaristia è un processo, un laboratorio, una trasformazione.

Qualche giorno fa, una ragazzina che ha appena fatto la prima comunione mi ha rivelato la sua delusione, dal momento che la particola consacrata non ha un gusto così esaltante. E in effetti, lei ha perfettamente ragione: l’eucaristia rinvia a un altro sapore, quello del Vangelo e della Parola di Dio, il sapore di una vita secondo lo Spirito, la fragranza di un corpo che diventa accogliente, ospitale, premuroso, non violento, attento, rispettoso, liberante, altruista, onesto… o semplicemente ‘buono’, come il pane. O come un vino eccellente, degustato in compagnia, quando celebriamo la bellezza e il piacere dei nostri legami.

Don Andrea