«Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna» (Gv 3,16).

Mi piace provare a scrivere qualcosa su queste parole infinite, mettendo in evidenza un’apparente contraddizione che illumina ulteriormente lo splendore di quello che oggi il Signore regala alla nostra preghiera e alla nostra vita. L’affermazione del v.16 – “Dio ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito…” – sembra porsi in aperto contrasto con quello che Giovanni scrive nella sua Prima Lettera: “Non amate il mondo, né le cose del mondo! Se uno ama il mondo, l’amore del Padre non è in lui…” (1Gv 2,15). Questo “mondo”, con tutte le sue terribili strutture di pensiero, di ingiustizia codificata, di religioni giustificanti la violenza del potere…, questo “mondo” Dio lo ama, al punto che l’invio del Figlio tra noi è la prova suprema ed evidente di tale amore. Questo mondo che non si deve amare perché l’amore per il mondo è in contrasto insanabile con l’amore di Dio, ebbene l’amore di Dio lo visita, lo riempie e lo avvolge con il sacrificio d’amore del Figlio! Certo, è chiaro! L’amore di Dio non è un amore che adora l’idolo e il peccato. L’amore di Dio libera dall’idolo e da ogni male. Però resta quindi certo che la condizione del mondo non ha come conseguenza un semplice giudizio di condanna, ma l’intervento divino per la salvezza del mondo stesso. Questo è decisivo per comprendere l’agire divino e l’atteggiamento che Dio chiede a noi.

 La salvezza del mondo è interamente connessa con la nostra fede. Salvezza del mondo e salvezza nostra sono in assoluta connessione. Consideriamo con grande attenzione i vv.17-18. Il Figlio è stato mandato “perché il mondo sia salvato per mezzo di lui. Chi crede in Lui non è condannato…”. E notate che chi “non è condannato”, è in realtà un peccatore, assolutamente bisognoso di salvezza. E non viene condannato perché “chi crede in Lui non è condannato”!

 E l’evento è di tale forza e potenza, che lo stesso giudizio divino non è un evento della “fine”, o meglio lo è perché il Vangelo è veramente “la fine”. La presenza tra noi del Figlio è la fine della storia. Il giudizio è operato dunque semplicemente dalla nostra fede-non fede. Riascoltiamo il v.18: “Chi crede in Lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato perché non ha creduto…”. E in che cosa consiste la condanna? Mi pare, nel fatto stesso dell’autoescludersi dal Vangelo della salvezza.

 Notte come tutto questo è confermato e illuminato ulteriormente dal v.19. Il giudizio divino è dato dal fatto stesso che, in Gesù, “la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno amato più le tenebre che la luce, perché le loro opere erano malvagie”. A me piace ritornare spesso ad un’affermazione tratta ancora dalla 1 Lettera di Giovanni: “Se diciamo di essere in comunione con Lui e camminiamo nelle tenebre, siamo bugiardi…” (1Gv 1,6). Ma quando spiega come si cammina nella luce, scrive: “Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, Egli è fedele e giusto tanto da perdonarci i peccati…Se diciamo di non avere peccato, facciamo di Lui un bugiardo e la sua parola non è in noi” (1Gv 1,8-10). Confessare i peccati è camminare nella luce, e cioè accogliere incessantemente il “giudizio” del Vangelo.

 Infatti, “chiunque fa il male, odia la luce, e non viene alla luce perché le sue opere non vengano riprovate. Invece chi fa la verità VIENE VERSO LA LUCE…e, appunto, viene verso la luce confessando i suoi peccati. La Chiesa stessa, intesa nella sua concreta fisionomia storica, è “santa” se e perché, incessantemente illuminata dal Vangelo, incessantemente confessa i suoi peccati. Si è “santi” solo perché si è “salvati”. Come vedete, ho continuamente “ricopiato” il Vangelo. E’ che queste parole negli anni sono diventate per me le parole più importanti.

Don Giovanni Nicolini

In cosa consiste il regalo di Dio per il mondo? Questo è il cuore della fede cristiana: l’esistenza terrena di Gesù è l’atto di amore infinito per tutte le creature da parte del Padre. La vita di Gesù è l’opportunità di un riscatto per ognuno di noi, la possibilità concreta di un recupero o di un ripristino: ritrovare la mia vera umanità, il mio volto, la mia identità autentica, quell’essere a immagine e somiglianza di Dio che spesso si sbiadisce o si corrode. È questa la volontà del Padre: che io non mi perda; che io non perda la speranza e il desiderio di incanalare nel modo migliore le mie energie; ha inviato il Figlio sulla Terra “perché chiunque crede in lui non vada perduto”. Questo processo di salvezza, o redenzione, o riscatto si compie definitivamente sulla croce: ma cosa significano questi ragionamenti, che sembrano il frutto di una teologia campata per aria?! In questa quarta domenica di quaresima, chiamata “laetare” (giorno della ‘letizia’!), ci risponde in modo chiaro il vangelo di Giovanni: “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna” (Gv 3,14-15). Nella prospettiva del quarto evangelista, Cristo crocifisso viene innalzato. Sulla croce Gesù è posto in alto e Giovanni rilegge simbolicamente questa visione: l’ora della morte coincide con l’esaltazione, la risurrezione, la luce della Pasqua. Tutti sono invitati a guardarlo; il Figlio di Dio è innalzato perché ogni essere vivente lo deve vedere; è lo specchio che riflette la mia umanità migliore, guarita da tutto ciò che si contrappone all’amore e alla vita. Appeso al legno risplende agli occhi di tutti non il corpo di un uomo qualsiasi, ma una forma precisa dell’esistenza: quell’essere nel mondo che è diventato compassione, cura, dono e servizio, rifiuto di ogni logica di avidità o di vendetta, di rancore o di violenza. Gli Ebrei nel deserto, morsi dai serpenti velenosi, guardavano al serpente di bronzo che Mosè aveva fabbricato per volere di Dio: un oggetto posto in alto, come Gesù in croce, allo scopo di risanare uomini e donne intossicati dal male, come Adamo ed Eva, contagiati dalla malizia della bestia, creatura disumana e disumanizzante, che spinge gli umani a diventare inferociti, a produrre guerre e a trafficare armamenti. Sulla croce splende agli occhi del mondo l’umanità disarmata di chi dona la vita e non sottrae, non ruba, non ferisce, non offende, non diminuisce nessuno. Questo è il dono di Dio: l’amicizia del Signore Gesù mi restituisce a me stesso. E nel frattempo anch’io imparo a restituire ogni giorno qualcosa di prezioso a chi è più povero, più fragile, più debole di me.

Don Andrea