Dal Vangelo secondo Matteo (11, 25-30)

In quel tempo Gesù disse: «Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo.

Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».

 

Questo brano ci apre uno squarcio prezioso e raro sulla preghiera di Gesù: se infatti viene detto molte volte che egli pregava, i vangeli sinottici ce ne riportano le parole solo qui e nel Getsemani.

Gesù ha provato il rifiuto e l’avversità da parte degli abitanti di Corazìn e di Betsaida, città nelle quali era avvenuta la maggior parte dei suoi prodigi, ma, invece di dolersi e lamentarsi, trasforma il fallimento in un’occasione di ringraziamento. Innanzitutto si rivolge al Padre benedicendolo, perché riconosce il bene che Egli sempre è e fa. E questo bene Gesù qui lo scorge nell’accoglienza del vangelo da parte dei piccoli, spiazzandoci ancora una volta con la logica “illogica” di Dio, che ribalta le nostre categorie umane: gli ultimi diventano primi (cfr. Mt 20, 16), i piccoli grandi (cfr. Lc 9,48) e gli stolti sapienti (1 Cor 3, 18). 

Non poteva esserci un vangelo migliore per la solennità del Padre San Francesco, un grande santo, come da tutti unanimemente riconosciuto: grande perché piccolo, “infinitamente piccolo”, come lo chiama Branduardi, tanto da definirsi «vilissimo vermine e disutile servo» (FF 1915), «semplice e idiota» (FF 2162). 

La sua testimonianza ci dice che per vivere il vangelo, la “piccolezza” non solo non è un limite, ma addirittura un punto di forza, tant’è vero che, quando frate Masseo gli chiede di spiegargli perché tutto il mondo gli va dietro, e ogni persona desidera vederlo, udirlo e obbedire a lui che non è né bello, né di grande scienza, né nobile, risponde con semplicità che il Signore non aveva trovato uno più vile, più insufficiente e più grande peccatore di lui, per confondere la nobiltà e la grandigia e la fortezza e bellezza e sapienza del mondo, acciò che si conosca ch’ogni virtù e ogni bene è da lui, e non dalla creatura».(cfr. FF 1838).

Ai piccoli come Francesco, Gesù offre una conoscenza non intellettuale, ma affettiva, intima, di Dio. E tale offerta sollecita una risposta, dal momento che ci viene fatto un invito ben preciso: «Venite a me!». Il Poverello ha accolto questo invito, uscendo dalla propria autosufficienza, che gli faceva «adorare se stesso» (FF 1403) per seguire Cristo, che ha incontrato nei connotati del povero. Così, a lui che era stato per lungo tempo animato dal desiderio della gloria di diventare cavaliere, il volto e la voce del Crocifisso della piccola chiesa di San Damiano e il bacio del lebbroso hanno aperto la via del “ristoro” e del compimento della vita.

Il suo esempio ci sproni a dare la nostra risposta al Signore, e di ripeterla ogni giorno con gioiosa fedeltà, rompendo gli indugi che ci derivano dalla pigrizia e dalla mollezza, che tante volte ci fanno dare una disponibilità solo part time, se non addirittura rinviare la risposta a data da destinarsi…