«Non crediate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti… non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento».

Il vangelo di questa domenica inizia con una premessa importante, sottolineata da Gesù, quasi non avessimo a dimenticarla mentre ascoltiamo il discorso che segue.

Siamo più facilmente inclini a contrapporre Legge e Vangelo, anche a causa di una infelice traduzione del testo greco di Matteo, che dopo la citazione dell’Antico Testamento, “avete inteso che fu detto…”, fa seguire il commento di Gesù con una avversativa ma io vi dico” (non a caso questo discorso è stato anche detto “delle antitesi”). In realtà il testo greco andrebbe meglio tradotto con una congiunzione, che pone il commento di Gesù in continuità con la citazione stessa: “Avete inteso che fu detto… E io vi dico…”.

Aggiungiamo un altro importante particolare. La Torà, che noi chiamiamo Legge, è in realtà un insegnamento e l’insegnamento ha una funzione pedagogica più che normativa, il suo obiettivo non è l’osservanza, ma la formazione di una persona adulta, libera e responsabile delle proprie azioni.

Proviamo dunque a leggere il vangelo sostituendo il “ma io vi dico” con e io vi dico”.

Vediamo, ad esempio, che Gesù non intende l’omicidio o l’adulterio in senso restrittivo, ma lo vede in ogni male fatto al fratello e alla sorella, nello sguardo che brama possedere, nel desiderio di un cuore malato. Non chiede solo di sopportare un nemico, ma di mettersi d’accordo con lui strada facendo.  A un marito che vuole ripudiare la moglie, Gesù non si ferma a ricordargli di concederle il “libello di divorzio”, che consentiva alla donna di risposarsi senza essere accusata di adulterio, ma gli chiede di non ripudiarla. Gesù non si limita al non giurare il falso e neppure al non giurare affatto, chiede a ciascuno una coscienza retta, tale da rendere sufficiente un sì o un no nel parlare.

E così via… Gesù, non solo non nega il precetto che viene citato, ma lo conferma e, anzi, lo intensifica.

Saremmo tentati di vedere semplicemente in lui un maestro esigente, magari persino intransigente, ma la premessa che apre il vangelo di oggi ci guida verso una comprensione diversa, che vede in Gesù colui che è venuto a dare un compimento: «Non sono venuto ad abolire, ma a dare pieno compimento».

Gesù ha dato pieno compimento alla Torà perché con l’insegnamento e l’esempio della vita l’ha riportata alla sua finalità originaria: l’amore! L’amore a Dio e al prossimo (cfr. Mt 22,37-40).

Il fine della Legge non è l’osservanza, ma far crescere i figli di Dio nella capacità di amare! Si capisce allora perché Gesù consideri importante anche il precetto considerato minimo. Con il dono della sua vita, amando sino alla fine, Gesù da un lato ha osservato la Torà, rinnovandola e trasfigurandola, dall’altro le ha dato pieno compimento.

La Legge è come un pedagogo (cfr Gal 3,24). La sua funzione è educare, guidare, custodire, creare le condizioni, ma anche condurre oltre se stessa, a quella verità che rende liberi, liberi di scegliere il bene, ovunque si trovi e di compierlo nell’amore, anteponendolo al proprio tornaconto; diversamente rimane lettera morta, un ostacolo da aggirare, una gabbia dentro la quale ti senti comunque “a posto” perché hai fatto il tuo dovere.

«La Legge è stata per noi un pedagogo, fino a Cristo», cioè fino a colui che ha dato la sua vita per noi, mostrandoci che il “pieno compimento della Legge è l’amore” (Rm 13,10). Lui è la verità dell’amore che rende liberi.

Il vangelo di oggi è una chiamata a questa libertà!

«Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri. Tutta la legge, infatti, trova la sua pienezza in un solo precetto: amerai il prossimo tuo come te stesso» (Gal 5,13)

 

Sr Emanuela Francesca

Monastero di Lovere