«Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli? … Ecco mia madre e i miei fratelli! … chi fa la volontà di Dio, costui per me è fratello, sorella e madre». Mc 3,33-35.
Nel testo evangelico Gesù esperimenta l’ostilità del suo ambiente famigliare che lo giudica “fuori di sé” (Mc 3,21) e che porta i suoi componenti, a cercare di fermarlo e impedirgli il genere di vita che aveva intrapreso. Ma Gesù conosce anche l’opposizione del proprio ambiente religioso. L’incomprensione della sua persona e della sua azione accomuna i famigliari di Gesù e le autorità religiose ebraiche: se i suoi famigliari lo giudicano pazzo, gli scribi lo accusano di essere indemoniato (Mc 3,22).
Il vangelo mostra un Gesù che ormai è divenuto un uomo pubblico: la sua attività di predicazione e di cura riscuote successo e richiama molta folla sicché lui e i suoi discepoli non hanno neppure il tempo di mangiare. Senza dubbio, il carattere inusuale del genere di vita itinerante con una piccola comunità di seguaci e le condizioni disagiate che tale vita comporta per Gesù stesso, sono motivo di preoccupazione per i membri del suo clan famigliare. Ma vi è certamente dell’altro. L’ostilità e il giudizio duro dei famigliari di Gesù sono il riflesso reattivo di un aspetto delle sue scelte: la sua vita itinerante e celibataria con una piccola comunità di discepoli danneggia economicamente la famiglia che si vede privata non solo di un suo membro, ma anche dei vantaggi economici e del prestigio sociale che l’alleanza con un altro gruppo famigliare, garantita da un matrimonio, avrebbe comportato. Ma Gesù vive con radicalità la sua appartenenza a Dio (“Tu sei il mio Figlio”: Mc 1,11) e compie la sua volontà a ogni costo (“Non ciò che voglio io, ma ciò che tu vuoi”: Mc 14,36) e questo gli consente di assumere le ostilità dei famigliari e anche delle autorità religiose – queste ultime particolarmente preoccupate anche dalla popolarità crescente di cui Gesù godeva – come conferme del suo cammino. Le inimicizie dei famigliari non agiscono su di lui come ricatto affettivo e le ostilità delle autorità religiose non lo intimoriscono né lo inducono a tornare indietro.
Di fronte ai famigliari che lo giudicano pazzo, “fuori di sé”, e vogliono farlo uscire fuori dalla casa in cui si trova, Gesù afferma che nella sua nuova famiglia, nella comunità dei credenti, il criterio di prossimità non è dato dai legami di sangue, ma dal fare la volontà di Dio (Mc 3,35). L’appartenenza alla comunità di Gesù non ha altro criterio che il fare la volontà di Dio: non vi sono privilegi, appartenenze di diritto o acquisite una volta per tutte, ma l’appartenenza a Dio avviene solamente tramite l’ascolto della parola di Dio che conduce a rinnovare ogni giorno la fedeltà alla volontà del Padre. Per cui ci possiamo senz’altro porre la domanda: chi è dentro e chi è fuori? L’essere nella chiesa, magari anche in modo visibile e pubblico, non va necessariamente di pari passo con la fede e con il fare la volontà di Dio. Il giudizio finale illuminerà ciò che nell’oggi può restare opaco e nascosto. L’appartenenza ecclesiale e anche la pratica sacramentale non sono assolutamente garanzie di salvezza: questo lo afferma Gesù nei vangeli (Mt 7,21-23; Lc 13,26-27) e lo ribadisce Agostino in un celebre passo del De civitate Dei (I,35): “La città pellegrina di Cristo si ricordi che sicuramente fra i suoi avversari si nascondono dei futuri suoi concittadini e non ritenga vano sopportare presso di loro l’ostilità, finché non li raggiunga come credenti; allo stesso modo, fra quelli che la città di Dio porta anche con sé, ad essa legati nella comunione sacramentale, finché è pellegrina nel mondo, alcuni non li avrà con sé nella condizione eterna dei santi; questi sono in parte noti, in parte ignoti e non esitano a mormorare contro Dio, con cui sono uniti per mezzo dei sacramenti, fino a riempire una volta i teatri assieme agli altri, una volta le chiese assieme a noi. Ma persino della correzione di alcuni di questi non si deve assolutamente disperare, perché presso chi ci è apertamente contrario si nascondono dei futuri compagni, anche se tuttavia essi non ne sono consapevoli”. Insomma, se “sappiamo dove la chiesa è, non sappiamo dove essa non è” (Tomáš Halík).
Luciano Manicardi