«Gesù uscì dall’acqua: ed ecco, si aprirono per lui i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio discendere come una colomba e venire sopra di lui» (Mt 3,16). Traducendo direttamente dal testo originale in lingua greca, dovremmo dire: “Gesù ‘salì’ dall’acqua”. L’utilizzo del verbo “salire” (“anabàino”) potrebbe rievocare il passaggio di Giosuè. Il sesto libro della bibbia racconta così l’attraversamento del Giordano da parte del popolo di Israele, che entra finalmente nella terra promessa: “Giosuè comandò ai sacerdoti: «Risalite dal Giordano». Quando i sacerdoti, che portavano l’arca dell’alleanza del Signore, risalirono dal Giordano, nello stesso momento in cui la pianta dei loro piedi toccò l’asciutto, le acque del Giordano tornarono al loro posto e rifluirono come nei giorni precedenti su tutta l’ampiezza delle loro sponde. Il popolo risalì dal Giordano il dieci del primo mese e si accampò a Gàlgala, sul confine orientale di Gerico” (Giosuè 4,17-19). Lo stesso verbo torna ripetutamente: l’arca, i sacerdoti e il popolo “risalirono dal Giordano”. Se nell’Antico Testamento l’arca dell’alleanza, che contiene le tavole della Legge, rappresenta la Parola e la Dimora di Dio, ora è attraverso la presenza di Cristo che i cieli si schiudono, e scendono sulla Terra lo Spirito e la voce del Padre. Gesù è il nuovo Giosuè (i due nomi coincidono). L’ingresso nella terra promessa dipenderà adesso dalla sequela del Maestro; abbandoneremo le nostre schiavitù e faremo un’esperienza profonda di liberazione seguendo le impronte di Gesù, frequentando la sua umanità, diventando discepoli che apprendono le parole e i gesti del Figlio di Dio, abitando la tenda che il Verbo è venuto a piantare in mezzo alle case di questo pianeta. La terra oltre il Giordano è il grande dono di Dio, opportunità alternativa all’Egitto e al faraone, memoria perenne di ciò che offende la dignità umana. Gli Israeliti, in condizioni disperate, “alzarono grida di lamento e il loro grido dalla schiavitù salì a Dio” (Es 2,23). Gesù è l’orecchio del Padre che ascolta il grido dell’umanità ferita, oppressa, stanca, impotente. La sua carne è la tenerezza di Dio, che sempre accompagna gli uomini e le donne in questo passaggio faticoso, attraverso il deserto, dalla schiavitù alla libertà, dalle tenebre alla luce, dalla morte alla vita. Salendo dall’acqua del Giordano, Gesù avvia un processo di guarigione che può coinvolgere anche la mia storia personale: tutto ciò che mi appartiene – i sensi, l’intelligenza, le emozioni, i legami – riceve qui ed ora un contagio rigenerante dal corpo di Cristo. “(…) il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo” (Gv 6,51).
Don Andrea