Gesù nella sua risposta ci rimanda al fondamento della nostra relazione con Dio e della nostra vita umana e cristiana: ascolta!
Ma come possiamo ascoltare Dio che non vediamo se non sappiamo ascoltare le sorelle e i fratelli vicini a noi?
A volte ci sembra che anche oggi “ascoltare” sia un’attitudine o una virtù piuttosto rara. Gente – e quante volte ci siamo anche noi – che abbia voglia di parlare ce n’è a bizzeffe, molto più esigua è la schiera di coloro che siano disposti ad ascoltare.
Ascoltare significa innanzi tutto aprirsi al prossimo, ammettere che tutti possano avere qualcosa da dirci e che da chiunque si possa imparare; significa rispettare la sorella e il fratello, concedergli non solo il diritto di parola ma anche quello di essere preso in considerazione.
Non si tratta infatti di “lasciar parlare” ma di interessarsi a una visione delle cose che ci può essere estranea, di concedere fiducia a chi è diverso da noi, e proprio perché è diverso da noi.
Saper ascoltare non è dunque una questione di gentilezza, ma il fondamento di un’autentica relazione.
Ma una tolleranza che è basata su questi presupposti che cos’è in definitiva? È amore del prossimo, è fratellanza. Per questo, saper ascoltare non è soltanto una virtù civile ma anche una virtù cristiana.
L’ascolto ci guarisce dal nostro egocentrismo: siamo invitati ad uscire dal nostro mondo per entrare nel mondo di chi ci parla.
Anche nello stile sinodale che le nostre comunità sono chiamate a vivere, siamo chiamati all’arte del silenzio per metterci in ascolto dei “semina Verbi”. E’ il tempo di una chiesa e di comunità cristiane capaci di ascolto “empatico” e fraterno.
Nella vita spirituale si cresce a misura che si scende nelle profondità dell’ascolto, che ci permette di entrare nella visione/rivelazione di Dio. Ascolta, Israele!.