Come ci ricorda papa Francesco, siamo una Chiesa di malati e abbiamo bisogno della guarigione che solo Dio ci può portare. Il Vangelo di questa Domenica ci chiede proprio di scoprirci sordi e muti, soli, incapaci di comunicare, per poter accogliere la salvezza di Dio che passa attraverso qualcosa che succede ai sensi. L’uomo non è fatto per la solitudine, ma per la comunione, per uscire da sé stesso e per ricevere gli altri che arrivano.

Marco ci tiene a sottolineare i diversi gesti che Gesù compie per guarire questo sordomuto: innanzitutto “lo prese con sé”, lo porta in disparte, perché per un incontro vero e personale con Lui è necessario separarsi dalla folla. Paradossalmente, per guarire dalla nostra solitudine, abbiamo bisogno di essere portati lontano dalla folla e dal ritmo delle cose che fanno tutti.

Poi Gesù compie due gesti che esprimono il Suo desiderio di un contatto anche fisico con il malato e proprio con le parti del corpo malate. Già questo è parte della guarigione: essere sfiorati nei luoghi della nostra sofferenza e solitudine vuol dire lasciarli abitare e trasformare da ferite a feritoie.

Gli mette le dita nelle orecchie: è il dito di Dio che ha formato i cieli, che permette alle Sue opere di arrivare alle nostre orecchie. Dio stesso ci deve liberare dalla sordità alle opere di Dio, ci deve aiutare a scoprire che in tutto quello che ci succede ci sono le Sue “dita”! Poi con la saliva gli tocca la lingua: questo uomo proverà a parlare con la saliva di Dio, con le Sue parole.

Ecco come si guarisce: avendo le opere di Dio nelle orecchie e la Parola di Dio sulla bocca.

Gesù prosegue levando gli occhi al cielo ed emettendo un sospiro, che dice la sua pena e la sua partecipazione: si mette nella stessa condizione del sordomuto, geme e non parla, tutto rivolto al Padre; e solo lì, nella relazione con il Padre, dove tutte le relazioni sono aperte può dire “apriti!”.

E allora sulla base del cielo aperto che c’è tra Gesù e il Padre, anche noi possiamo lasciarci aprire alle relazioni e ritrovare una capacità nuova di ascolto e comprensione del mistero di Cristo. E’ il cielo che si apre la rottura della nostra solitudine: per la relazione tra Gesù e il Padre, noi scopriamo che si può vivere nella comunione, perché Lui vive nella comunione trinitaria e ci dona di parteciparvi.

“Effatà” è la parola che è stata pronunciata su di noi nel Battesimo e così Dio ha aperto la nostra vita e l’ha resa segno profetico del Suo Regno: il Signore ci conceda la Grazia di lasciarci salvare ancora una volta per poter diventare guaritori feriti e sanati.