«Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui?» (Lc 18,6-7). Cos’ha di speciale la vedova che continua a chiedere l’aiuto del giudice, al punto tale che questo soggetto, preso per sfinimento, si convince a darle una mano? La preghiera non è un automatismo; non potrà mai realizzarsi come il soddisfacimento immediato delle mie richieste. Non posso pretendere che Dio sia costantemente al mio servizio, come uno schiavo o una macchina a gettoni.

Pregare significa attendere; non posso imporre a Dio i miei tempi; questo atteggiamento è tipico del bambino piccolo, oppure dell’essere umano immaturo, che non ha voluto crescere, vittima del proprio egocentrismo, o di certi deliri di onnipotenza. Volere tutto e subito è il peccato di Adamo ed Eva: dimenticarsi la distanza e la differenza tra noi e il creatore. La preghiera è Cristo che, a poche ore dall’infame condanna a morte, dice al Padre: “Tuttavia non sia fatta la mia, ma la tua volontà” (Luca 22,42). In un altro passo, lo stesso evangelista Luca indica chiaramente qual è il dono che Dio concede sempre all’orante: lo Spirito Santo! “Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!” (Luca 11,13). Qui diventa chiaro il senso di tutte le nostre suppliche e invocazioni: ricevere lo Spirito perché “Cristo sia formato in noi” (Gal 4,19); lo scopo della preghiera è la trasformazione della mia umanità, chiamata a innestarsi e a conformarsi ai sentimenti, alle parole, ai gesti e alle scelte di Gesù. La preghiera è una lotta, come accade a Giacobbe nell’attraversamento notturno del torrente Jabbok; dialogare con Dio significa entrare in una sala parto, nella quale viene generata dentro di me la nuova creatura, che si lascia guidare dal vangelo, che partecipa alla fioritura nel mondo del Regno di Dio, che si apre allo spirito delle beatitudini e diventa affamata di giustizia, operatrice di pace.

La parabola della vedova e del giudice disonesto rientra ancora una volta nel linguaggio paradossale del Maestro, che ci costringe a riflettere attraverso storie provocatorie: questa donna che non si stanca di chiedere aiuto testimonia la necessità di continuare a crederci, a rimanere fedeli alla relazione e al dialogo con Dio, a non chiuderci in noi stessi, a non farci giustizia da soli, a non lasciare che la nostra umanità si spenga o si inaridisca nello scoraggiamento cinico, a non essere sordi al grido di dolore degli altri, dei poveri, dei disperati… sono illuminanti le parole di un grande profeta del ‘900, il teologo evangelico Dietrich Bonhoeffer, martire del nazismo: “Tutto ciò che dobbiamo chiedere a Dio e dobbiamo attendere da lui si trova in Gesù Cristo. Occorre cercare di introdurci nella vita, nelle parole, negli atti, nelle sofferenze, nella morte di Gesù, per riconoscere ciò che Dio ha promesso e realizza sempre per noi. Dio infatti non realizza tutti i nostri desideri, ma realizza le sue promesse”. 

Don Andrea Guglielmi, parroco