“Come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore” Gv. 15,9
Il progetto di Chiara è stato sempre osservare il Vangelo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio e in castità; questo è l’incipit della sua regola. La sua scelta di vivere il Vangelo era un nuovo modo di essere poveri nel mondo, condividendo la sorte degli ultimi, in modo da rendere visibile e credibile il messaggio evangelico che è la misericordia. Misericordia significa avere il cuore accanto a coloro che vivono una condizione di povertà e di miseria spirituale o materiale. Per cui, la scelta di vita di Chiara non è stata una fuga dal mondo, ma piuttosto, un’apertura misericordiosa al mondo che la circondava, così che potesse essere un dono ai poveri, per i poveri, spirituali e materiali, come un prolungamento di quanto Dio ha fatto con noi.
Un’immagine che piaceva a Chiara per spiegare il suo rapporto con Gesù era quello dello “specchio”. Un’immagine, a prima vista, sorprendente. Sembrerebbe lontana dal “mondo” della santità.
Nella nostra comune esperienza, quando ci miriamo in uno specchio, lo facciamo evidentemente per guardarci. Lo sguardo si porta su di noi. Il più delle volte ciò avviene per una doverosa cura della nostra persona. Ma può introdursi, nello sguardo, anche il filo dell’orgoglio, della vanità, la tentazione di chiuderci dentro la nostra “immagine”.
Se Chiara usa, come figura chiave della sua spiritualità, il riferimento allo specchio, è perché ella ha rovesciato totalmente questa dinamica auto-referenziale. Per Chiara lo specchio è Gesù. Chiara si “specchia” in Gesù. Non vuol vedere se stessa, ma Gesù. Vuole che i suoi lineamenti si confrontino con quelli del volto di Cristo, fino a coincidere con quel Volto.
La Parola di Dio or ora proclamata ci spinge a fare lo stesso cammino.
Lo “specchio”, Gesù, ci ha parlato. Ci ha rivolto, come fece con Chiara, parole di amore.
“Come il Padre ha amato me, anch’io ho amato voi. Rimanete nel mio amore”.
In questo stupendo brano del vangelo di Giovanni siamo innalzati alle sorgenti della vita trinitaria. Siamo tuffati nella vita che da sempre unisce, in un dialogo di amore, il Padre e il suo Figlio eterno, nel vincolo dello Spirito Santo. Quella stessa vita in cui l’universo è creato, si muove e si rinnova.
Questo amore eterno che costituisce la vita di Dio non è rimasto chiuso in se stesso. Si è “effuso”. Ci è stato donato. Arriva, attraverso Gesù, a ciascuno di noi.
Lo dobbiamo credere e proclamare: noi siamo amati, avvolti dall’amore, colmati di amore.
Quando prendiamo coscienza di questo, nasce il grande desiderio che afferrò la vita di Francesco e, dopo di lui, della sua “pianticella” Chiara.
L’amore di Gesù è capace di riempire il nostro cuore, fino a diventare il nostro tesoro.
La povertà che Chiara, sull’esempio di Francesco, scelse in modo radicale, nasceva da questa esperienza: Gesù era tutto per lei. Ella non aveva bisogno di nient’altro.
Non era disprezzo delle cose. Noi abbiamo bisogno di tante cose, e dobbiamo lodare Dio perché ce le fornisce. Ma alle cose dobbiamo dare il loro valore. Prima o poi, passano. Svolgono la loro funzione, e si dileguano.
Ciò che rimane è l’amore che plasma la nostra vita e la rende, in qualche modo, “divina”. E’ l’amore di Dio riversato in noi.
Questo dono di amore ci insegue, come persone e come comunità. Sviluppa il suo disegno, in modi sempre nuovi, in tutte le epoche storiche. Il divino “amante” non si arrende nemmeno di fronte all’ingratitudine e al tradimento dei suoi figli.
E’ quanto ci è stato ricordato, nella prima lettura, dalle stupende espressioni del profeta Osea.
“Io la sedurrò, la condurrò nel deserto, e parlerò al suo cuore”.
Dio parla come un innamorato. Si rivolge a un popolo che ha dimenticato il primo amore.
Ma Dio ha ancora una riserva di amore. E la investe con decisione, con parole che toccano il cuore. Quasi una “seduzione”.
“Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa, nella giustizia e nel diritto…. Ti farò mia sposa nella fedeltà e tu conoscerai il Signore”
Che bella promessa, che grande certezza! Siamo chiamati a “conoscere il Signore”. Cioè a fare esperienza di lui, esperienza nuziale, in una intimità che ci rende una sola cosa con lui.
E’ questo che il Signore continuamente ci offre.
Che cosa è l’Eucaristia, se non il donarsi dello Sposo alla Sposa? “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo”. Il Figlio di Dio continuamente si dona. Vuole che il suo corpo sia mangiato. Che diventi il nostro nutrimento e il nostro gaudio.
Un ideale alto, fatto per dare senso e sapore alla nostra vita.
Fu questo l’ideale di Chiara. Il “divino amante” voleva richiamare il suo popolo al “deserto” di una rinnovata esperienza di amore. Poggiando lo sguardo su questa nostra Assisi, trovò una comunità che allora, come oggi, contava certo tanti uomini e donne di fede, ma registrava anche tante infedeltà. Francesco e Chiara si lasciarono “rapire”. E fu storia nuova, per loro e per questa Città.
Oggi ci ritroviamo in una situazione analoga. Se guardiamo ai processi di scristianizzazione, che, come avviene in tanti Paesi di antica tradizione cristiana, specie nella nostra Europa, ci fanno allontanare sempre di più, – nelle convinzioni, nei valori e nel costume – dal Vangelo. E’ tempo di “nuova evangelizzazione”.
Ma l’amore di Dio non è diminuito. Il suo sguardo è ancora uno sguardo di tenerezza e misericordia.
E Dio viene a chiamarci anche attraverso la voce dei nostri Santi.
Chiara ci invita a non aver paura dell’amore di Dio. Ci chiede di metterci con fiducia sulle sue orme.
Ci invitano a questo anche le sue figlie, che vivono nei vari monasteri. Preghiamo perché vivano sempre più “specchiate” in Cristo, come la loro Santa Madre, e da questo luogo di santità continuino a partire raggi di luce e di amore per la Chiesa e per il mondo.
Mons. Domenico Sorrentino vescovo di Assisi