«Qualsiasi cosa vi dica, fatela» Gv 2,5

Con tutte le situazioni tragiche, le morti e le croci d’Israele, Gesù dà inizio alla sua missione quasi giocando con dell’ac­qua e con del vino. Schiavi e lebbrosi gridavano la loro disperazione e Gesù co­mincia non da loro ma da una festa di nozze. Deve es­serci sotto qualcosa di mol­to importante: è il volto nuovo di Dio, un Dio che viene come festa.

A lungo abbiamo pensato che Dio non amasse troppo le feste degli uomini. Il cristianesimo ha subìto come un battesimo di tristezza. Dice un filosofo: «I cristiani hanno dato il nome di Dio a cose che li costringo­no a soffrire!». Nel dolore Dio ci accompagna, ma non porta dolore. Lui be­nedice la vita, gode della gioia degli uomini, la ap­prova, la apprezza, se ne prende cura. Scrive Bonhoeffer: dobbiamo a­mare e trovare Dio precisa­mente nella nostra vita e nel bene che ci dà. Trovarlo e ringraziarlo nella nostra fe­licità terrena. Una festa di nozze: le nozze sono il luogo dove l’a­more celebra la sua festa. Ed è lì che Gesù pone il primo dei segni: il primo se­gnale da seguire nelle stra­de della vita è l’amore, for­za capace di riempire di mi­racoli la terra. 

Cana è la vicenda perenne dell’umanità, racconta la relazione tra Dio e ogni uomo come una dedizione sponsale, amorosa e reciproca, esclusiva e gelosa, per sempre. Ma sempre minacciata: il vino viene a mancare, sulla terra l’amore finisce, è così poco, così a rischio, così raro. «Nel frattempo, venuto a mancare il vino…». Sembra legge a tutte le esperienze umane la diminuzione, il venir meno, il tramontare. E invece no. Chi si sposa non si rassegna a questa legge, Dio non si rassegna, Maria a Cana non si rassegna, e sente, come legge fondamentale di speranza, che le cose possono andare dal piccolo al grande, dal debole al forte, dall’acqua al vino. Con lei, ogni credente sa che è possibile ripartire. La strada è segnata dalle sue parole: «Fate quello che vi dirà». Sono le sue ultime parole nel Vangelo. Le prime e le ultime rivolte a noi uomini. Ha parlato con gli angeli, con Elisabetta, con il figlio; ma questo è il suo testamento agli uomini, legge carissima per ogni figlio. «Fate le sue parole. Fate il Vangelo». Non solo ascoltatelo o annunciatelo, ma fatelo, rendetelo vita e gesto. E si riempiranno le anfore vuote della vostra vita.

«Vi erano là sei giare di pietra. Gesù disse: riempite d’acqua le giare. E le riempirono fino all’orlo». Io che cosa posso portare al Signore? Solo acqua, nient’altro che acqua. Eppure la vuole tutta. Ho solo qualche amore, forse povero, o senza luce, ma non importa, le nozze di Cana dicono che l’amore umano è il luogo privilegiato dell’evangelizzazione, un luogo di miracoli. Al centro della fede è posta infatti la stessa cosa che è al centro della vita dell’uomo: l’amore. Per questo la fede durerà quanto durerà l’uomo. Per questo quando le sei giare di pietra della mia umanità saranno offerte a lui, colme fino all’orlo di tutto ciò che è umano, sarà lui a mutare questa semplice acqua nel migliore dei vini. Lui, lo sposo sognato da Isaia (Is 62,5), l’autore dell’amore.

A Cana Maria è icona del volto gratuito di un Dio che ha a cuore la felicità degli uomini più ancora che la loro fedeltà: nulla hanno fatto gli sposi per meritare il miracolo, ma Dio interviene, indifferente ai meriti (unico merito è la povertà, il finire del vino).

Il Dio in cui io credo è il Dio delle nozze di Cana, il Dio della festa, del gioioso amore danzante, un Dio felice che sta dalla parte del vino, che ama il profumo di Betania (Gv 12, 1-4), che fa dell’amore il luogo in cui germogliano miracoli, “un rabbi esperto in banchetti” (E. Bianchi), un allietatore di poveri, un Dio felice che dà il piacere di esistere e di credere.

Ermes Ronchi