“Dalla pianta di fico imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina”. Mc 13,28.
Per noi che viviamo di solo presente, la liturgia apre una porta nella parete del tempo, perché possiamo guardare oltre. Non per anticipare la data di un futuro, ma per insegnarci a vivere giorni aperti al futuro. Il Vangelo non parla della fine del mondo ma del senso della storia.
Dice parole d’angoscia, eppure ci educa alla speranza, in questa nostra vita che è un impasto di dramma e di delicatezza. Un Vangelo sulla crisi e contemporaneamente sulla speranza, che non profetizza la fine del mondo, ma il significato del mondo.
La prima verità è che il mondo è fragile: in quei giorni, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo…
Non solo il sole, la luna, le stelle, ma anche le istituzioni, la società, l’economia, la famiglia e la nostra stessa vita sono molto fragili.
Ma la seconda verità è che ogni giorno c’è un mondo che muore, ma ogni giorno c’è un mondo che nasce. Cadono molti punti di riferimento, vecchie cose vanno in frantumi: costumi, linguaggi, comportamenti, ma ci sono anche sentori di nuove primavere. La speranza ha l’immagine della prima fogliolina di fico: Dalla pianta di fico imparate: quando spuntano le foglie, sapete che l’estate è vicina.
Allora dentro la fragilità drammatica della storia possiamo intuire come le doglie di un parto, come il passaggio dall’inverno alla primavera, come un uscire dalla notte alla luce. Ben vengano certe scosse di primavera a smantellare ciò che merita di essere cancellato.
Quanto morir perché la vita nasca (Clemente Rebora). Ma dopo si tratta di ricostruire, facendo leva su due punti di forza.
Il primo: quando vedrete accadere queste cose sappiate che Egli è vicino, il Signore è alle porte. La nostra forza è che «Dio non ha chiuso il suo cuore e la sua strada passa ancora sul nostro mare d’Esodo, mare inquieto, mare profondo, anche se non ne vediamo le orme» (Salmo 77,20). A noi spetta assecondare la sua creazione. Come una nave che non è in ansia per la rotta, perché ha su di sè il suo Vento di vita.
Il secondo punto di forza è la nostra stessa fragilità. Per la sua fragilità l’uomo cerca appoggi, cerca legami e amore. Io sono tanto fragile da aver sempre bisogno degli altri. Ed è appoggiando una fragilità sull’altra che sosteniamo il mondo.
Dio è dentro la nostra ricerca di legami, viene attraverso le persone che amiamo. «Ogni carne è intrisa d’anima e umida di Dio» (Bastaire). I nostri familiari sono il linguaggio di Dio, la sua quotidiana catechesi, il tocco della sua presenza, sacramento della sua grazia.
Cristo è vicino, sta alle porte,
Cristo che è alla periferia della mia casa, della mia città, agli orli murati dei nostri mondi separati, sta lì, come una porta, come una breccia nel muro, come una breccia di luce a indicare incontri e offerte di solidarietà e di amore.
E se ogni Eucaristia, se ogni vita, se ogni sera della vita si chiudesse con le parole stesse con cui si chiude la Bibbia, parole di porte aperte, di battenti spalancati, di cuore e di braccia larghi quanto la speranza: «Lo Spirito e la Sposa dicono vieni! e chi ascolta ripeta: vieni».
E se ognuno dicesse a tutti e a tutto, a Dio e ad ogni creatura «Vieni»; se dicesse alla persona amata ma anche all’estraneo, all’ultima stella del cielo e al povero «Vieni»; se dicesse agli uomini giusti e saggi di cui è pieno il mondo «Vieni»; in questa ospitalità reciproca troveremmo il senso dell’avvento, in questo non sentirsi gettati via il senso della storia.
Ermes Ronchi