“Chi di questi tre ti sembra sia stato prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». Quello rispose: «Chi ha avuto compassione di lui». Gesù gli disse: «Va’ e anche tu fa’ così»” Lc 10,36-37.

Nella parabola di questa domenica XV del tempo ordinario un sacerdote e un levita scendono per la strada che da Gerusalemme va a Gerico, ma nessuno dei due si ferma a soccorrere colui che era stato vittima dei briganti. E’ probabile che entrambi siano stati a Gerusalemme per il culto al tempio, dove certamente avevano ascoltato la Parola di Dio. Eppure l’ascolto della Parola e la preghiera sono stati incapaci di generare in loro opere di misericordia.

Gesù narra la parabola per rispondere alla domanda di un dottore della Legge su chi dovesse considerare come suo prossimo. Come dire: fino a quale limite posso considerare l’altro mio prossimo e oltre quale limite posso considerarlo un estraneo?

La risposta di Gesù capovolge la prospettiva. Di fatto la vera domanda da farsi è questa: quali atteggiamenti devo vivere per farmi prossimo di qualcuno?

Luca nel v. 33 precisa che il Samaritano “vide e ne ebbe compassione”. Il verbo indica le viscere materne che sono il vero organo corporeo della misericordia perché capaci di accogliere e generare vita. Il cuore accogliente non conosce confini e in esso si rispecchia il volto stesso di Dio. Il Signore Gesù è il vero Samaritano che ha compassione delle nostre ferite. Colpisce che Gesù si identifichi con un Samaritano vale a dire con uno scismatico, uno straniero. Per un Giudeo doveva suonare duro l’invito a comportarsi come un Samaritano.

Questa parola deve però scuotere anche noi consentendoci di riconoscere la presenza di Dio laddove meno ce l’aspetteremmo. A volte possiamo apprendere come comportarci da chi meno saremmo portati a considerare come modelli da imitare.

Gesù si china non soltanto sulle nostre ferite ma si prende cura anche dei nostri cuori induriti. Ci rivela che la parola di Dio si fa vicina alla nostra vita proprio attraverso coloro nei quali ci imbattiamo, in modo inaspettato e imprevisto. Attraverso loro Dio ci interpella, ci chiama, ci converte. Un ascolto che diviene poi prassi di vita effettiva. “Passare oltre” significa che la Parola di Dio passa otre e si disperde, senza che riusciamo a trattenerla nella nostra bocca, nei nostri cuori, nei gesti di carità effettiva della nostra esistenza.

Sorelle Clarisse Monastero Porto Viro