“Giacobbe generò Giuseppe, lo sposo di Maria, dalla quale è nato Gesù, chiamato Cristo. Così fu generato Gesù Cristo” Mt 1,16.18-21.24
Festa di san Giuseppe, l’uomo che unisce sogni e mani callose. Gesù ha imparato a dire abbà guardando i suoi occhi profondi, ha imparato da Giuseppe l’audacia di chiamare Dio abbà, papà, nella lingua di casa.
Il vangelo racconta quattro sogni di Giuseppe e nessuna parola. L’uomo giusto ha gli stessi sogni di Dio. Ci vuole coraggio per sognare, ci vuole fantasia. Ci vuole desiderio e cuore diritto.
Giuseppe non vede immagini, ha un sogno di parole.
Ed è quello che è concesso a ciascuno di noi: abbiamo il Vangelo, la Parola che ci contagia con il suo sogno di cieli nuovi e terra nuova, e di un Abbà vicino.
Quattro sono i sogni, e ogni volta un annunzio incompleto, insufficiente per noi, eppure per accogliere Maria e quel figlio non suo, per partire e ritornare, non attende di avere tutto chiaro davanti a sé, ma tanta luce quanto basta al primo passo, tanta forza quanta ne serve alla prima notte. Così accade anche per noi: non chiediamo tutto l’orizzonte chiaro, ci basti la luce per un primo passo, ma esatto. Poi la luce si rinnoverà, ad ogni passo.
Guidami Tu, Luce gentile, / attraverso il buio che mi circonda,/ sii Tu a condurmi! /La notte è oscura/ e sono lontano da casa,/ sii Tu a condurmi!/ Sostieni i miei piedi vacillanti: /io non chiedo di vedere/ ciò che mi attende all’orizzonte,/ un passo solo mi sarà sufficiente (cardinale John Henry Newman).
Anche in tempi di contagi e di paure.
In questi giorni molti siamo raccolti in casa, in famiglia. Ci sentiamo allo stretto? È una occasione: restare in casa è molto di più che non uscire. È restare con lui, con lei, con loro, i figli, con quelli che sono l’amore diventato visibile.
Ermes Ronchi