«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo» Gv 6,51.
La storia di Elia ci aiuta a interpretare il Vangelo di oggi. Dio stesso si fa pane e vicinanza, angelo e carezza perché noi, profeti troppe volte stanchi, non ci arrendiamo al deserto che ci assedia.
Io sono il pane disceso dal cielo. Io sono il Pane della vita. La mia carne è per la vita del mondo. Tre affermazioni che riassumono il brano. Io sono pane: pane indica tutto ciò che ci mantiene in vita, Cristo fa vivere. Fa vivere con la Parola, con le persone, con il giorno che ci dona, con pane e acqua, un’intima luce e angeli che non ci aspettavamo, con se stesso. Pane disceso: il movimento decisivo della storia è discendente, è Lui che si incarna e vuole la comunione con me; è Lui che attraversa deserti e crea sorprese di pane e di carezze, è Lui che invita. È disceso dal cielo perché la terra non basta, perché a nessun figlio prodigo basteranno mai le ghiande contese ai porci. Ogni figlio ha nostalgia del pane di casa: la nostra casa è il cielo, il nostro pane è Dio.
La mia carne è per la vita del mondo. Tre sole lettere «per» ed è il senso della storia di Gesù, dichiarazione d’amore da parte di Dio: per te, mondo, per tutte le tue vite, vale la pena vivere e morire; tu prima di me; la tua vita prima della mia. Neanche Dio vive per se stesso; vive, regna e ama «per noi e per il mondo», seme di fuoco in ogni cosa, per sempre.
Il brano del Vangelo di oggi è riempito dal verbo mangiare. Un gesto così semplice e quotidiano, così vitale, pieno di significati, ma il primo di tutti è che mangiare o no è questione di vita o di morte. Mentre le religioni orientali si concentrano sul respiro, il cristianesimo ha come gesto centrale il mangiare.
Ciò che mangi ti fa vivere e tu sei chiamato a vivere di Dio. Non solo a diventare più buono, ma a nutrirti di un Dio che ti trasforma nell’intimo dolcemente e tenacemente. E mentre ti trasforma in lui, ti umanizza: più Dio in te equivale a più io.
I Padri Orientali la chiamano “divinizzazione”, “theosis”; e Dante la trascrive con il potente verbo “indiarsi”: diventare figli, della stessa sostanza del Padre.
Assimilare la vita di Gesù non significa solo Eucaristia, non si riduce a un rito, ma comporta una liturgia continua, un discendere instancabile, a ogni respiro, di Cristo in me. Vuol dire: sognare i suoi sogni, respirare l’aria limpida e fresca del Vangelo, muoversi nel mare d’amore che ci avvolge e ci nutre: “in Lui siamo, ci muoviamo e respiriamo” (Atti 17,28).
Chiediti: di cosa nutro anima e pensieri? Sto mangiando generosità, bellezza, profondità? Oppure mi nutro di egoismo, intolleranza, miopia dello spirito, insensatezza del vivere, paure? Se ci nutriamo di Cristo, egli ci abita, la sua parola opera in noi (1Ts 2,13), dà forma al pensare, al sentire, all’amare.
Se accogliamo pensieri degradati, questi ci fanno come loro. Se accogliamo pensieri di Vangelo e di bellezza, ci renderanno uomini e donne della bellezza e della tenerezza, le due sole forze per cui questo mondo sarà salvato.
Mangiare: entra in me Pane buono, che raggiunge e alimenta anche la cellula più lontana. Dio vicino a me, Dio in me, Dio sotto la mia pelle, che si insedia al centro della mia povertà come un re sul trono. Dio in ogni vena, Dio che mi abita: medicina, guarigione, protezione, salvezza dell’anima e del corpo. Questa è la vita eterna, promessa per circa cento volte nei vangeli. Certezza di una realtà senza prove. Tralcio e vite, una cosa sola. «Siate imitatori di Dio». Obiettivo impossibile, se l’Amato non diventa la vita di chi lo ama, se non dà forma Lui al nostro sentire, pensare, parlare, dare. Siate imitatori di Dio, fatevi voi stessi pane e angelo, acqua e vicinanza. Cercate Qualcuno che doni il coraggio di non vivere per se stessi, di diventare dono e pane, di diventare tutti, gli uni per gli altri, carezza e angelo, compagnia nel deserto, compagnia oltre il deserto, su fino al monte di Dio.
Ermes Ronchi