Quale genitore riesce, nel silenzio dei nove mesi di gestazione del figlio nel grembo materno, a maturare la consapevolezza di Zaccaria che quel bimbo, desiderato in lunghi anni di sterilità, oggetto di preghiere, è anzitutto destinatario di una chiamata di Dio?

Tra tutti i pronomi che usiamo, mio occupa un posto di rilievo. Le prime parole che Zaccaria dice a suo figlio sono queste: tu sei di Dio, sei relativo a lui, sei la sua voce. E io gioisco che tu sia suo, non perché destinato alla gloria, ma perché suo.

Gioisco di te, della tua missione, non per averne io gloria in quanto tuo padre, ma perché Dio mi ha guardato con benevolenza e mi ha ammaestrato attraverso la sterilità a comprendere che anche io sono suo, non mio.

Questa è salvezza in atto, luce nelle tenebre dell’orgoglio.