“Gesù prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla” Lc. 9,16
La festa del Corpus Domini, che la Chiesa colloca immediatamente dopo il tempo pasquale, ci fa riandare a quel mistero eucaristico la cui memoria è già stata celebrata con particolare solennità il giorno del Giovedì santo.
È significativo che al centro di questa festa troviamo una realtà così umana, così concreta, così ‘materiale’, come quella del «corpo e sangue». Corpo e sangue che dicono tutto il mistero dell’incarnazione, tutta l’umanità nostra, debole e fragile, assunta pienamente dal Signore Gesù. Corpo e sangue assunti e donati fino all’ultimo «per noi uomini e per la nostra salvezza», come recita il Credo.
Corpo e Sangue nel «Pane e vino» sono doni che rimandano a uno dei bisogni primari e vitali dell’uomo: il soddisfacimento della sua fame. Sappiamo che l’uomo è essenzialmente un essere che ha fame, e non solo di cibo. Essa abita nel profondo del suo cuore come desiderio, conscio o inconscio, di qualcosa che può venire da Dio solo. È Dio che nutre l’uomo, anzi è Dio stesso che si fa suo nutrimento in quel pane e in quel vino che riceviamo ogni giorno dalle sue mani come «cibo di vita eterna» e «bevanda di salvezza».
Il racconto della moltiplicazione dei pani ci parla del mirabile e inatteso nutrimento di una folla affamata che, desiderosa di ascoltare Gesù e farsi curare dalle proprie malattie, lo segue fin nel bel mezzo di un deserto.
Al di là del prodigio in sé, ciò che attira la nostra attenzione è il modo con cui si conclude la narrazione: «Tutti mangiarono a sazietà…». È questa sensazione di sazietà che rimane nelle nostre orecchie (e un po’ anche nel nostro corpo) dopo aver ascoltato questa parola. Una fame saziata: ecco cosa ci vuol comunicare il racconto.
Dio non ha altra volontà che saziare la nostra fame. Possiamo dire che è il suo grande desiderio.
Nel brano cosiddetto delle tentazioni, in un altro deserto, Gesù si era rifiutato di trarre pane dalla pietra, come subdolamente gli suggeriva il tentatore. Perché ora moltiplica un pugno di pani e pesci là dove, essendo deserto, non poteva trovare che pietre? Un tempo aveva categoricamente negato di farlo. Al diavolo aveva risposto: «Non di solo pane vivrà l’uomo», ora però non ricusa di donare – e in modo sovrabbondante – anche quell’umile pane a una moltitudine di gente stanca e affamata. Egli sa che l’uomo ha bisogno anche di pane per vivere, purché quel pane sia ricevuto come segno di un’accoglienza amorosa («Le folle lo seguirono. Egli le accolse…») e diventi capace di dire tutta la logica di una vita data in dono («Voi stessi date loro da mangiare»), come è stata la vita stessa di Gesù.
Per questo il racconto della moltiplicazione dei pani (così come il racconto dell’ultima cena e quello della cena di Emmaus, dove si narra di un pane ‘spezzato’) è una grande e profonda rivelazione della persona di Gesù. Erode, poco prima, si era chiesto: «Chi è dunque costui?» Gesù risponde donando del pane, simbolo e prefigurazione di quel pane che si farà lui stesso, per diventare nostro cibo in ogni eucaristia, così che, a nostra volta, in Lui, anche noi diventiamo nutrimento per la moltitudine che abita il deserto.
Sorelle Clarisse Monastero Porto Viro